Nella rassegna stampa di Euricse c’era questo tagliente articolo apparso sulla versione on-line del Times. Una filippica ben argomentata sulla crescente sudditanza del terzo settore rispetto al potere pubblico. Il tutto a colpi di contracting-out e di coprogettazione che di paritario ha ben poco. Una segnalazione che fa il paio con l’evento nostrano di oggi ovvero la presentazione del nuovo rapporto sulla sussidiarietà dedicato, combinazione, al ruolo degli enti locali e che si è tenuta nella sede più istituzionale che ci sia: il senato della repubblica. Non è una questione di luoghi naturalmente, ma di dati. La sintesi della sintesi del rapporto ci dice che la sussidiarietà oggi è tutta (o quasi) verticale e mediata da categorie tecnico manageriali: efficienza, economicità, controllo, ecc. In questo contesto il terzo settore ha ben poche alternative: o si adegua, facendosi colonizzare, o cerca altri spazi di azione. E’ complicato operare lungo la cinghia di trasmissione delle risorse pubbliche che, in attesa del federalismo fiscale, gira a pieno regime in senso top-down. Ed è dura fare advocacy quando si auspica la costumer satisfaction. Il tutto, va detto, con il beneplacito dei cittadini che guardano alle virtù di chi amministra il potere (non è un caso che gli assessorati ai servizi sociali siano sempre più appetiti come veicolo di consenso) e puniscono l’ultima ruota del carro, ovvero i gestori dei servizi in esternalizzazione. Rimane però uno spazio – pure in espansione – delimitato dal progressivo polarizzarsi del welfare pubblico intorno ai bisogni dell’elettorato mediano, anche a causa di una contrazione delle risorse economiche che in ambito socio assistenziale non si era finora mai vista. In questo spazio, che è uno sparpaglìo di problemi e di opportunità dove è troppo complicato e – da tanti punti di vista – poco conveniente intervenire per la “megamacchina” della sussidiarietà verticale, si possono fondare (o riconvertire) progetti alternativi, realmente orientati a obiettivi d’interesse generale. Del resto non è mestiere da imprenditore sociale quello di attrarre e combinare risorse “sparse per la comunità”? Se lo dice Elinor Ostrom...
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