Economia
I cinque no (e i tanti sì) dell’Economia di Francesco
«La direzione di marcia è chiara, anche se non facile da seguire. E c'è ancora troppo poca attenzione al lavoro. Che invece resta la macro-leva sia per la riduzione delle disuguaglianze sia per una nuova mediazione fondata sulla mutualità tra le persone, la natura e la giustizia». L'intervento del direttore generale di Federcasse
di Sergio Gatti
Cinque no, tanti sì giungono da Assisi collegata con giovani di 115 paesi per l’innovativa Economy of Francesco. Giovani protagonisti, anche nella responsabilità e nella freschezza.
Così papa Francesco.
- Primo no. “Non sarà possibile impegnarsi in grandi cose solo secondo una prospettiva teorica o individuale senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria”.
- Secondo no. “Non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale. Come se potessimo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse”.
- Terzo no. “Non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti «che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti» o privilegi per il godimento garantito di determinati beni o servizi essenziali”.
- Quarto no. “Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale”.
- Quinto no. “In pieno secolo XXI, «non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori». È la cultura dello scarto, che non solamente scarta, bensì obbliga a vivere nel proprio scarto, resi invisibili al di là del muro dell’indifferenza e del confort”.
Un sì, tra i tanti. Elaborare cultura. Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento. Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante. Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». Senza fare questo, non farete nulla.
Abbiamo bisogno di gruppi dirigenti comunitari e istituzionali che possano farsi carico dei problemi senza restare prigionieri di essi e delle proprie insoddisfazioni, e così sfidare la sottomissione – spesso inconsapevole – a certe logiche (ideologiche) che finiscono per giustificare e paralizzare ogni azione di fronte alle ingiustizie. Ricordiamo, ad esempio, come bene osservò Benedetto XVI, che la fame «non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale».
La direzione di marcia è chiara, anche se non facile da seguire. Cinquanta giorni dopo la firma, sempre ad Assisi, della enciclica Fratelli tutti, Francesco sembra mettere in evidenza che la nuova economia non è solo quella di prima pennellata di verde, con molto digitale (ma concentrato in pochissime mani), molta finanza (anch'essa concentrata in pochissime mani, indebolendo – soprattutto in Europa, molto meno negli USA – il protagonismo delle banche di comunità), molta attenzione alla salute (che rischia di essere soprattutto farmacologica, quindi selettiva perché costosa). E ancora troppo poca attenzione al lavoro. Che invece resta la macro-leva sia per la riduzione delle disuguaglianze sia per una nuova mediazione fondata sulla mutualità tra le persone, la natura e la giustizia.
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