Formazione

I cine – talebani

Il j’accuse di Alessandro D’Alatri: «Ecco cosa non va nel cinema italiano»

di Maurizio Regosa

Per Alessandro D?Alatri fare cinema vuol dire «sporcarsi le mani con la vita». Entrare nei giochi, cercare di capirli, smontarli perché le contraddizioni siano evidenti, i problemi visibili, le ipocrisie smascherate. Ma farlo con un linguaggio diretto, con uno stile ?popolare?. Sia che parli del disagio mentale (con Senza pelle, 1994) che di schemi e convenzioni (La febbre, 2004), D?Alatri cerca il dialogo con il grande pubblico. «Perciò lo scorso anno ho scelto di far uscire il mio film Commediasexy sotto Natale. L?area intellettuale si è rinchiusa nei salotti a giudicare i gusti del pubblico. Si è prodotto un allontanamento sempre più radicale fra cultura e massa. Al contrario sarebbe molto interessante se gli autori, i letterati si vestissero di maggiore umiltà e si riavvicinassero ai gusti della massa».

Vita: Un problema annoso?
Alessandro D?Alatri: Sì. Ma il cinema nel passato ha fatto operazioni di questo tipo. Basta pensare alla commedia all?italiana. Tutti a casa, La grande guerra, Una vita difficile: raccontano drammi in un modo divertentissimo. Oggi non si fa più. Gli autori raccontano in una chiave magari elegante che però, per ritmi e soluzioni, allontana il pubblico… Occorre parlare a tutti.

Vita: Ma non si rischia di fare cinema minore?
D?Alatri: Polemiche stupide. È una cinematografia che è sempre esistita, che fa un lavoro dignitosissimo, con incassi notevoli. Bisogna averne rispetto. Ma in Italia si tiene poco conto dell?individuo, si sceglie la strada del proibizionismo.

Vita: Però è interessante che ci sia una polemica di questo tipo?
D?Alatri: Ma la volgarità che c?è in televisione allora? Bisognerebbe staccare l?antenna. Al cinema almeno c?è un atto volitivo. Al contrario la televisione mi entra dentro casa. Mi sembra falsa morale.

Vita: Una visione della società molto critica, la sua…
D?Alatri: Come non essere critici… Non esiste essere umano italiano che non abbia uno sguardo critico. Viviamo in un Paese stalinista…

Vita: Stalinista?
D?Alatri: Uno Stato produttore, che si mette in conflitto coi cittadini. Che non sa gestire bene ciò che gestisce. Nello stesso tempo si penalizza la parte migliore della società. Il volontariato, ad esempio. Anni fa ho fatto un film, Senza pelle, sul disagio mentale: hanno risposto la Chiesa, la società, l?arte, ma non la politica. Non un politico che accolga gli stimoli che io, non come artista ma come antenna, lancio.

Vita: In che senso ?antenna??
D?Alatri: Come un?antenna che capta dei segnali. Se preferisce come un?ape che impollina, un?ape operaia, non regina. Sento di avere questa funzione di stimolo, me lo riconosce il pubblico.

Vita: Nei suoi film c?è molta attenzione nei confronti delle nuove generazioni.
D?Alatri: Sì ma anche delle vecchie. A me piace parlare anche all?Italia di mio padre. Sono le persone che hanno dato la vita per costruire un?identità nazionale e oggi credo siano molto deluse. Anche la sinistra che ricopre le massime cariche dello Stato quanta distanza ha dallo Stato. Non parlano mai al Paese vero…

Vita: Questo responsabilizza le persone come lei…
D?Alatri: Ci provo. Abbiamo bisogno di intelligenza nel prodotto di massa. È anche bello che qualcuno ogni tanto si tiri su le maniche e decida di sporcarsi le mani con la vita.

Vita: Amelio, Bellocchio. La generazione che c?è fra la sua e quella ad esempio di Monicelli…
D?Alatri: C?è una crasi nel cinema italiano fra arte popolare e cultura. Generata da due fatti: la critica fortemente ideologizzata, che per anni ha proposto solo un?autorialità bolscevica e stroncato chi faceva un prodotto seriamente popolare, e la reazione che ha spinto verso le commedie alla Giovannona coscialunga?

Vita: Una visione un po? cupa.
D?Alatri: Non c?è solo una dirigenza inadeguata, ma anche intellettuali a libro paga della classe politica. Io sono indipendente, non appartengo a nessuna lobby. Io il crollo del muro di Berlino l?ho festeggiato. Per me è stata una liberazione. A proposito di ideologie, la cosa più giusta l?ha detta papa Paolo VI: «È finita l?era dei maestri. Inizia l?era dei testimoni». Ho le scatole piene di maestri che spiegano agli altri come si fa?

Vita: Grande distanza tra il popolo e chi lo rappresenta…
D?Alatri: In un Paese dove non c?è giustizia, non esistono né libertà né democrazia. Quanti scandali abbiamo visto. Quanti colpevoli sono stati trovati? Pensi alla strage di piazza Fontana, non c?è ne uno in galera. Ho letto tempo fa di un dipendente che in un anno ha fatto dall?ufficio sei telefonate a casa, è stato condannato a un anno di galera… Viviamo in uno Stato che moralizza sempre dal basso e dall?alto invece condona. Occorrerebbe riprendere l?azione risorgimentale.

Vita: Cioè?
D?Alatri: Lo dico da patriota perché amo il mio Paese. Mi sento risorgimentale. Per fare un nuovo risorgimento servono nuovi patrioti. Che vogliano ricostruire il senso dello Stato. L?unica cosa che salvo della mia generazione è l?extraparlamentarismo. È stato un momento importantissimo: ha portato fra le masse la voglia di interazione con i fatti della società. Ovviamente penso a un extraparlamentarismo civile non violento, non con le pistole in mano… Altre baionette servono. I miei film sono delle baionette.

Vita: Quali colleghi sente vicini?
D?Alatri: Un tempo il nostro cinema era coeso, oggi c?è una divisione profonda. Sergio Rubini ha detto: «Bisogna uccidere i padri, ma non bisogna uccidersi fra fratelli». Se i fratelli smettono di ammazzarsi possono dialogare coi padri che non sono stati di buon esempio.

Vita: Lei ci prova?
D?Alatri: Sì. Mi sono divertito a fare film differenti. Contro il talebanismo che alloggia nelle aree intellettuali.

Vita: Insomma, c?è troppo moralismo e poca morale…
D?Alatri: Nutro un profondo rispetto per chi ha un rigore morale assoluto o non ce l?ha.

Vita: Ha speranza?
D?Alatri: Ne sono pieno. Non c?è cosa peggiore che non avere speranza ma, come dice Sant?Agostino, altrettanto peggiore è vivere una speranza senza fondamenta.

Vita: Lei è credente?
D?Alatri: Sono un cattolico distratto. Oggi essere cristiani è difficile. Il riconoscimento per il diverso, l?abbraccio, il perdono sono assenti nella nostra società. Il perdono è diventato condono, indulto, ma il senso alto del perdono è stato demolito.

Vita: È stato compreso?
D?Alatri: Non sempre. Ad esempio L?Unità mi ha sempre stroncato? L?ala falsamente progressista è la più conservatrice. In Italia quando si dice la parola «nuovo» c?è chi mette la mano alla fondina. Io sono rivoluzionario: vado incontro al nuovo. Ma non distruggendo le radici. Rispettandole.


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