Ucraina

I cento di Kyiv

Gli appunti di uno tra i cento pacifisti che hanno pregato e manifestato in piazza Sofia a Kyiv

di Luca Cirese

C’è un caldo torrido e asfissiante a Kyiv, dove regna una calma tesa – rotta dal rumore delle sirene degli aerei che fanno scrutare preoccupati il cielo – l’11 luglio 2024, giorno di San Benedetto e anniversario del genocidio di Srebrenica in Bosnia-Herzegovina, culmine dell’orrore della guerra civile in ex-Jugoslavia degli anni Novanta.

A popolare piazza Sophia, uno dei luoghi di culto più antichi e sacri dell’Ucraina, l’antica Rus’, ci sono un centinaio di facitori di pace, provenienti da tutta Italia, e arrivati nella capitale ucraina per dire, con la loro presenza e i loro corpi, una cosa che hanno ben chiara dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina: è grande la differenza, ieri come oggi, tra aggressore e aggredito, e dunque la pace non sarà mai starsene in pace, ma farla, insieme, con gesti concreti, tanto ascolto e solidarietà alle vittime.

Da Benevento a Gorizia, da Roma a Milano, da Bergamo a Firenze, fino a Trieste e oltre, si sono ritrovati dopo un lungo e intenso viaggio notturno in treno, che gli ha permesso di attraversare il confine con la Polonia – per l’undicesima missione del MEAN – e andare a manifestare contro Putin e quello che è a tutti gli effetti un imperialismo che non può essere sfamato e che già molti danni ha fatto ieri in Cecenia, in Georgia, e oggi in Ucraina e in tutta Europa.

E tra un coro di voci tutto al femminile ucraine e una preghiera intercoffensionale capace di unire religioni spesso distanti, lentamente si prendono per mano: uomini donne, vecchie e giovani, italiani e ucraine, formano così poche ma chiare parole, segnate a terra con manifesti e bandiere ucraine ed europee: PUTIN GO HOME!, come scandiscono con chiarezza tutti e tutte in coro.

“Siamo qui per dire che Putin se ne deve andare e aiutarvi in questo momento difficile: siamo con voi!”, spiegano in inglese a un un’incuriosita giovane coppia ucraina che si era avvicinata mentre la costruivano e se ne va sorridendo e ringraziando, con la sensazione forse di essere meno soli.

Loro invece ripartono per tornare presto, e se ne vanno con il ricordo di quel ristoratore ucraino di cucina georgiana – paesi uniti in guerra e in pace – a cui hanno brillato gli occhi, quando, alla fine della cena, gli hanno regalato una bandiera blu europea, come a dirgli: vi aspettiamo!

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