Cultura
I cattolici e la guerra. Silenziare il Papa?
L’entusiasmo per la pace ha ceduto il posto all’entusiasmo per la guerra. La preoccupazione degli intellettuali cattolici di giustificare la guerra è, da questo punto di vista, significativa. La guerra tra Russia ed Ucraina è un fatto tragico di cui Putin porta l’enorme responsabilità. L’Occidente non ha però il compito di alimentare il fuoco ma di sedarlo e questo nell’interesse stesso dell’Ucraina. È a questo livello che va portata la riflessione e non sulla inutile disputa su guerra o non guerra
Gran parte della discussione su pace e guerra, su putiniani o antiputiniani, che occupa lo spazio dei media nel nostro Paese appare stucchevole, inutile, ideologico. Il punto non riguarda infatti il diritto dell’Ucraina a resistere o quello di procurarsi armi di fronte all’invasione russa, ma quello di come arrivare alla pace.
Questo è il vero nodo ed è la domanda che deve essere posta e non quella, del tutto astratta, se l’Ucraina abbia il dovere di difendersi o meno. E invece di quest’ultima cosa si parla in una polemica insistita e fuori luogo, soprattutto da parte dell’intellighenzia cattolica, verso papa Francesco accusato di essere “pacifista” e “neutralista”, di non prendere apertamente posizione a favore dell’Ucraina e dell’Occidente. La storia in questo caso si ripete anche grazie all’amnesia del passato. Nel 2003 il presidente Bush dichiarò guerra all’Iraq di Saddam Hussein. Giovanni Paolo II, assolutamente contrario al conflitto, tentò in ogni modo di far desistere il presidente americano dalla sua decisione. Non fu ascoltato. Il risultato: centinaia di migliaia di morti, la devastazione dell’Iraq, l’esodo di milioni di cristiani per timore di rappresaglie, la destabilizzazione radicale dell’area. Anche allora in Italia e negli Usa una folta schiera di cattolici si schierò con l’America contro il Papa accusato di essere “non realista”, utopista, pacifista. Si tratta delle stesse accuse che ritornano ora contro papa Francesco. Lo si critica perché non cita il nome di Putin nella condanna della guerra, come fa il New Catholic Reporter; perché rinnoverebbe i “silenzi” di Pio XII sugli ebrei durante la seconda guerra mondiale, come afferma il New York Times. In Italia lo si taccia di insensibilità.
“Come può papa Francesco mostrare tanta indifferenza per chi muore, veramente, per la sua patria? È vero che il “morire per la patria” è stato sconciato dall’intelligencija, come nell’esemplare disprezzo di Umberto Eco per i piccoli eroi del libro “Cuore” di Edmondo De Amicis. Ma, molto più che l’assenso alla guerra, è oggi inumana, è indice di cinismo intellettuale e morale, l’incapacità di pensare l’eroismo e il sacrificio di chi combatte. Dobbiamo ancora coltivare, con l’intelligencija internazionale, questa idealità dell’imbelle, nonostante si sappia da sempre, e ne venga ora conferma, che il potente ne profitterà? È questo che deve fare la Chiesa cattolica? Come battezzato e credente entro la tradizione cattolica, non mi vergognerò mai di chi combatte in difesa della sua patria aggredita. Felice la nazione che trova eroi, quando ne ha bisogno”.
Così scrive Pietro De Marco, che conosco personalmente, nel blog di Sandro Magister: Morire per la patria. Quegli eroi che inquietano il papa (Settimo cielo, 01-04-2022). Per l’autore:
“Si percepisce, e si apprezza, che papa Francesco miri a indurre sentimenti di colpevolezza e volontà di conversione nell’aggressore, senza esplicitamente metterlo sotto accusa. Ma anche questa è una strategia spirituale che non tiene conto del dovere, per la Chiesa, di un giudizio pubblico secondo giustizia. La chiesa di Bergoglio non distingue più tra fòro interno e fòro esterno. La profonda pagina sulla gioia di Dio nel sollevare da terra e perdonare il figliol prodigo è indirizzata alle nostre coscienze, con la bella e anche rischiosa sottolineatura che al centro della “confessio peccati” non c’è il peccato ma la misericordia. Ma in sede di foro esterno, di “forum ecclesiae publicum”, è la fattispecie del peccato che conta massimamente. Il crimine è pubblico, la sua condanna vale di fronte a tutti”.
Qui De Marco segue alla lettera la teologia politica di Carl Schmitt, di cui è estimatore, per il quale la Chiesa può chiedere solo di amare i nemici in senso ampio (inimicos) ma non i nemici pubblici (hostes). In un precedente articolo, sempre nello stesso blog, De Marco scriveva criticando i pacifisti: «Ora i “pacifici”, di fronte alla storia dei popoli, non possono nascondersi dietro il velo del loro orrore per l’odio e il sangue, neppure sotto quello di una carità che prescinde da tutto. In questo ordine di realtà che è il conflitto in corso, deve dominare la meno gratificante virtù della giustizia. Meno gratificante perché la giustizia, nelle relazioni tra popoli, se si dà deve essere giustiziabile: la sua sentenza dovrà avere conseguenze. E queste saranno, anzi lo sono già, coerenti alla meccanica della guerra poiché la riguardano: armi e mezzi forniti alla parte debole per combattere, sanzioni all’aggressore per ferirlo su più piani e certamente creare sofferenze, minacce simmetriche per intimorire. Con alla fine l’inevitabile soccombere (o cedere terreno con danno) di una parte. Se le parole di pace non vedono questa concatenazione di fatti necessitati, volti realisticamente a fermare il conflitto, se lo considerano un male non degno di esame “iuxta propria principia”, si condannano ad essere astratte» (La guerra in Ucraina e la Chiesa. De Marco: “La vera pace esige giustizia”, 09-03-2022). Per De Marco «La preghiera, la più intensa e più teologicamente consapevole, è necessaria e senza dubbio gradita a Dio, ma cade entro il disegno insondabile della Sua volontà. O siamo tentati come Chiesa di assumere la preghiera come “escamotage” per non prendere posizione e non operare in e su questa guerra? Non cadremmo in questa tentazione se avessimo conservato la capacità di pensare gli eventi in termini di teologia della storia. Invece le teologie dominanti sono antitetiche a Paolo, ostili ad Agostino, irriderebbero Bossuet o de Maistre. Flirtano con le filosofie ma sono estranee all’eretica ma altissima teologia della storia di Hegel. Pensano in piccolo o utopicamente, e l’utopia è il prodotto affabulato delle etiche del sentimento». Il buonismo e il sentimentalismo falserebbero il realismo cattolico, un realismo che singolarmente termina in Hegel, non propriamente un campione del pensiero cattolico.
Ho citato a lungo la posizione del prof. De Marco perché a mio avviso è emblematica della critica che soggiace oggi all’occidentalismo cattolico, una posizione trasversale alla destra e alla sinistra. Nel suo articolo De Marco cita, per altro, in sede di conclusione un autore sui generis che fuoriesce dai quadri sopra delineati. «Ho vissuto, molto attento, – scrive – gli anni lontani dell’azione politica internazionale di Giorgio La Pira (crisi di Cuba, Vietnam), forse priva di risultati maggiori, ma portatrice di ragione, di analisi, capace di influenza». Non è questa, chiediamo, anche la posizione del Papa il quale, non a caso, nel suo bellissimo discorso a Malta di sabato ha ricordato proprio la figura di Giorgio La Pira?
«Più di sessant’anni fa – ha detto Francesco -, a un mondo minacciato dalla distruzione, dove a dettare legge erano le contrapposizioni ideologiche e la ferrea logica degli schieramenti, dal bacino mediterraneo si levò una voce controcorrente, che all’esaltazione della propria parte oppose un sussulto profetico in nome della fraternità universale. Era la voce di Giorgio La Pira, che disse: “La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi” (Intervento al Congresso Mediterraneo della Cultura, 19 febbraio 1960). Sono parole attuali; possiamo ripeterle perché hanno una grande attualità. Quanto ci serve una “misura umana” davanti all’aggressività infantile e distruttiva che ci minaccia, di fronte al rischio di una “guerra fredda allargata” che può soffocare la vita di interi popoli e generazioni! Quell’“infantilismo”, purtroppo, non è sparito. Riemerge prepotentemente nelle seduzioni dell’autocrazia, nei nuovi imperialismi, nell’aggressività diffusa, nell’incapacità di gettare ponti e di partire dai più poveri. Oggi è tanto difficile pensare con la logica della pace. Ci siamo abituati a pensare con la logica della guerra. Da qui comincia a soffiare il vento gelido della guerra, che anche stavolta è stato alimentato negli anni. Sì, la guerra si è preparata da tempo con grandi investimenti e commerci di armi. Ed è triste vedere come l’entusiasmo per la pace, sorto dopo la seconda guerra mondiale, si sia negli ultimi decenni affievolito, così come il cammino della comunità internazionale, con pochi potenti che vanno avanti per conto proprio, alla ricerca di spazi e zone d’influenza».
L’entusiasmo per la pace ha ceduto il posto all’entusiasmo per la guerra. Non si tratta di un rilievo marginale. La preoccupazione degli intellettuali cattolici di giustificare la guerra è, da questo punto di vista, significativa. La guerra tra Russia ed Ucraina è un fatto tragico di cui Putin porta l’enorme responsabilità. L’Occidente non ha però il compito di alimentare il fuoco ma di sedarlo e questo nell’interesse stesso dell’Ucraina. È a questo livello che va portata la riflessione e non sulla inutile disputa su guerra o non guerra. L’Occidente vuole che l’Ucraina pervenga alla pace oppure sfrutta il corpo martoriato del Paese per indebolire Vladimir Putin? Questa è la questione, il resto è nebbia. Se l’Occidente vuole perseguire la pace per l’Ucraina allora dovrà tenere aperto un canale con la Russia e, in secondo luogo, dovrà valutare fino a che punto la resistenza militare all’invasore dovrà essere portata avanti. Oltre un certo limite – un limite a cui forse siamo già arrivati – il conflitto rischia di degenerare, di travolgere le parti, di portare a genocidi da parte russa, di provocare l’intervento reattivo della Nato. Oltre c’è la terza guerra mondiale. È questo che si vuole? I cantori della guerra “giusta” vogliono questo? La distruzione dell’Ucraina e del mondo? Su questo punto l’Europa comincia a farsi i conti e a comprendere, dopo l’infelice intervento di Biden a Varsavia, che l’Occidente è in realtà diviso, che gli interessi dell’Europa non coincidono con la politica aggressiva portata avanti dall’America. Come scrive Domenico Quirico:
“La distanza che separa nella guerra in Ucraina gli americani e gli europei si è allungata, come era prevedibile, di un'altra pericolosa tacca. A Washington con l'invio al governo di Kiev di armi più sofisticate e micidiali, armi d'attacco, per l'ennesima volta viene sabotato esplicitamente il fragilissimo negoziato (prospettiva che gli americani considerano una sconfitta) e si comincia a sognare addirittura un ribaltamento dell'esito della guerra: non più russi indeboliti, impaludati, ma russi in fuga, e ucraini che riconquistano non solo le zone invase un mese fa ma anche il Donbass e perché no? la Crimea. Putin dunque umiliato, e, poiché i regimi non sopravvivono mai alle sconfitte, liquidato dalla Storia e dagli incubi del ventunesimo secolo. Dopo Saddam, Milosevic, Gheddafi, Bin Laden, i Califfi un'altra carta del corposo mazzo dei diavoli moderni scartata dal gioco. Gli europei sono più consapevoli, per la prossimità alle malefiche conseguenze, della infernale potenza distruttiva che Putin può scatenare per vendetta o per riprendere il controllo delle operazioni. Gli americani pensano alla vittoria, gli europei (non tutti) pensano alla pace che seguirà. Ora dovranno rapidamente prendere una decisione complicata: allinearsi ancora alla strategia di Washington o seguire una diversa strada. Insomma: occorre mettersi al centro dell'arena entrando, come dicono i toreri , "nella culla delle corna". Bisognerà bene che un giorno con Putin, o i suoi eredi, si discuta, non foss' altro per i nostri affari. Si dovranno riprendere relazioni sopportabili e umane con questa parte di Europa. Una bella ferita aperta, netta, guarisce. Ma non la invelenite!” (Trattare col nemico per battere i demoni, La Stampa, 04-04-2022).
Se questa è la prospettiva, se gli interessi tra gli americani e gli europei non necessariamente coincidono, se Biden spinge per la continuazione della guerra e l’Europa ha tutto l’interesse ad arrivare alla pace, allora evocare continuamente lo spettro di Monaco e dipingere Putin come un novello Hitler non aiuta. Così non serve, dispiace dirlo, la riedizione del volume di Emmanuel Mounier I cristiani e la pace di cui discuteranno venerdì 8 alla Camera Enrico Letta, Claudia Mancina, Marco Bentivogli, Stefano Ceccanti. Il Mounier del 1939, che diffidava di Monaco e invitava a resistere con la forza allo strapotere di Hitler in Europa, non può essere invocato come l’interprete della situazione attuale. Soprattutto non può essere invocato come l’espressione autentica del realismo cristiano contro l’utopismo pacifista di papa Francesco. Lo dico da personalista allievo di Armando Rigobello, il maestro che ha introdotto lo studio di Mounier in Italia. D’altra parte non è nemmeno sufficiente, come fa l’amico Giorgio Tonini nella sua recensione al libro di Mounier (Recensione del libro E. Mounier, I cristiani e la pace, 25-03-2022), contrapporre, nel conflitto presente, Kant ad Hobbes. Non è sufficiente per i cattolici. Anche i teocon di Bush volevano, nel 2003, esportare la democrazia liberale occidentale (kantiana) nell’Iraq arretrato ma il risultato è stato disastroso.
La democrazia deve perseguire la pace e la forza deve essere commisurata a questo fine. Perciò in un momento come questo la figura più attuale è data da Giorgio La Pira, non da Mounier e nemmeno da Kant. Il realismo richiesto non è quello che mira a ridisegnare la geografia politica del mondo bensì quello che, dentro la tragedia del presente, sfrutta ogni spiraglio possibile per arrivare alla pace. Questo è quello che desidera e chiede con insistenza il Papa, il vero realista.
In cover Foto Agenzia Sintesi
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