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«I can’t breathe»: la morte di George Floyd e l’impassibilità di Wall Street

Nel corso della settimana che ha seguito l'assassinio pubblico di George Floyd, che ha visto lo scoppio di vere e proprie sommosse civili contro la violenza razzista della polizia, Wall Street non ha fatto una grinza, anzi: i produttori di armi Smith&Wesson e Ruger hanno guadagnato nel corso della settimana rispettivamente il 20 e il 10%, e alla notizia di lunedì scorso di un tagliodell'occupazione di 2,6 milioni di americani, l'indice borsistico (S&P 500) è aumentato dell'1.2%

di Christian Marazzi

“È alle Borse del mondo che si decide l'etica della società”, così scrive Joseph Roth nel suo romanzo Destra sinistra, pubblicato un mese prima del crollo di Wall Street. Il 1928, l'anno che precedette il grande crash, fu particolarmente effervescente, con aumenti altalenanti ma spettacolari degli indici azionari. Guardando a quel che succede alle borse del mondo in questi mesi di crisi pandemica, è difficile non fare paragoni con quel che accadde allora. Dal tonfo di marzo, le borse hanno recuperato qualcosa come 17 mila miliardi di dollari, con l'indice S&P 500 a circa il 10% dai massimi di febbraio. E questo nel pieno di una crisi occupazionale senza precedenti e del rischio reale di una catena di fallimenti.

Quel che colpisce ancora di più è che nel corso della settimana che ha seguito l'assassinio pubblico di George Floyd, che ha visto lo scoppio di vere e proprie sommosse civili contro la violenza razzista della polizia, Wall Street non ha fatto una grinza, anzi! I produttori di armi Smith&Wesson e Ruger hanno guadagnato nel corso della settimana rispettivamente il 20 e il 10%, e alla notizia di lunedì scorso di un tagliodell'occupazione di 2,6 milioni di americani, l'indice borsistico (S&P 500) è aumentato dell'1.2%.

La spiegazione tecnica di questo paradosso, di questo assurdo scollamento tra paese reale e mercati finanziari, è abbastanza semplice: i grandi investitori sanno che le banche centrali, e la Fed in particolare, forniranno liquidità a più non posso, e con lo choc del Covid-19 alle spalle hanno gli occhi puntati esclusivamente sul prossimo ciclo degli affari.

Poco importa se l'esperienza degli effetti delle recenti politiche monetarie ultra-espansive è stata quella d'aver ingigantito le disuguaglianze sociali, quelle stesse disuguaglianze che potrebbero continuare ad alimentare le rivolte ancora per chissà quanto tempo. Poco importa se la società reale è in fiamme. D'altronde, la fredda indifferenza della finanza nei confronti della società reale, della sofferenza dei suoi cittadini, ha non pochi precedenti. Il 1968, l'anno in cui Martin Luther King e Robert Kennedy furono uccisi, l'indice S&P 500 chiuse con un rialzo dell'11%. Nel 1992, quando Rodney King, un altro uomo di colore, fu assassinato dalla polizia, le borse chiusero in territorio positivo.

Nel 2011, con il movimento Occupy Wall Street che scoppiò a Zuccotti Park, l'indice borsistico conobbe un rialzo del 4.5%. Questa è l'etica della società che emana dalle borse del mondo, da quei luoghi senza qualità in cui si decide in funzione dei propri esclusivi interessi proprietari. Un'etica, una logica, che soffoca la società, che fa gridare al cielo “I can't breathe”.

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