Mondo
I cani, i gatti e la Fao. Un protagonista racconta
Lotta alla fame. Parla Esquinas-Alcazar, massimo dirigente dellagenzia onu in tema di biodiversità che ci spiega come è andato veramente il vertice.
Perché è stato organizzato quest?ultimo vertice della Fao? Perché era necessaria una chiamata alle coscienze. Se vogliamo raggiungere l?obiettivo di dimezzare gli affamati dobbiamo correggere il tiro». Josè Esquinas-Alcazar è segretario della Commissione sulla biodiversità alla Fao, professore di Genetica all?università di Madrid. Arrivato a Roma 30 anni fa per starci sei mesi, da allora non è più andato via. Non lo ammetterà mai, ma se lo scorso mese di novembre è stato approvato il Trattato internazionale sulle risorse genetiche per l?agricoltura e l?alimentazione, lo si deve in gran parte a lui.
Vita: Il Wfs appena concluso è servito per lo meno a dare l?idea di quanto poco sia stato fatto per garantire la sicurezza alimentare.
Esquinas-Alcazar: Nel 1996 erano 777 milioni le persone che soffrivano la fame: per dimezzare questo numero entro il 2015 si sarebbero dovute ridurre di 22 milioni l?anno le persone malnutrite. Attualmente la riduzione è di soli 6 milioni, poco meno di un quarto di quello che permetterebbe di conseguire l?obiettivo non di eliminare il problema, ma di ridurlo del 50%. Il numero di persone che muoiono a causa della fame è di 10 milioni l?anno. Vuol dire 24mila persone al giorno, molti di più che in ogni guerra o in atti di violenza. Ci troviamo quindi in una situazione veramente di emergenza, che dovrebbe coinvolgere molto di più la volontà delle persone e la volontà politica dei governi.
Vita: Perché c?è ancora così tanta gente che soffre di malnutrizione?
Esquinas-Alcazar: è una questione di priorità politiche. Se la priorità fosse quella di risolvere il problema della fame, allora diverrebbe un obiettivo raggiungibile, giacimenti per sfamare tutti ci sono: è questione di accesso agli alimenti.
Vita: Le cause?
Esquinas-Alcazar: Sono molteplici. Ad esempio, le guerre. In Afghanistan ci sono 700 chilometri quadrati di terreno agricolo pieni di mine: coltivare in queste zone è molto rischioso e costa la vita a 300 persone al mese. Il costo delle guerre degli ultimi 30 anni è stato di 4.600 milioni di dollari, cioè risorse sufficienti per risolvere il problema della malnutrizione per 300 milioni di persone. Dipende quindi da come sono investite le risorse, quali sono le priorità. Quello che in due grandi Paesi viene speso ogni settimana per dare da mangiare a cani e gatti equivale al bilancio della Fao per due anni.
Vita: La malnutrizione è frutto anche del colonialismo alimentare?
Esquinas-Alcazar: Gran parte delle popolazioni che vivevano in Sudamerica, nella zona andina, si nutriva di alcune varietà da noi sono sconosciute. Queste coltivazioni sono state adattate all?ambiente, e rese molto produttive. Attraverso un processo di colonizzazione nutritiva, gli europei iniziarono a esportare le loro coltivazioni, in particolare il frumento per la produzione del pane. In Europa il frumento ha un?elevata produttività, in Italia e in Spagna ha una media di produzione di 5mila chili per ettaro, ma in alcune zone andine non arriva a più di 500 chili per ettaro: la probabilità di competere è nulla. Alle popolazioni cui è stato imposto di mangiare il pane conviene più importare frumento dall?Europa che produrlo. Questo genera un indebitamento permanente poiché la maggiore uscita di valuta nazionale è causata proprio dall?acquisto del frumento quando sarebbe molto più logico sviluppare la produzione delle coltivazioni andine.
Vita: Il ricorso a ogm potrebbe dar vita a nuove forme di colonizzazione?
Esquinas-Alcazar: Non c?è solo il problema degli ogm. Ci sono semi che devono essere acquistati ogni anno perché non sono più fertili, ci sono quelli che richiedono un ampio uso di fertilizzanti e in questo modo si crea una forte dipendenza. In alcune zone del mondo e per alcuni agricoltori, questa dipendenza non è un problema perché gli investimenti sono poi compensati dagli elevati guadagni. Ma nell?agricoltura di sussistenza, invece, quella in cui si coltiva per uso personale o familiare e non si commercializza, è difficile avere soldi per comprare queste risorse.
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