Nel crogiolo di quella che fu la polveriera balcanica, le preoccupazioni maggiori riguardano i giovani. Il futuro e la possibilità di emanciparsi dal passato e di guardare avanti, in direzione di una società pacificata e coesa. È il filo rosso che unisce due diverse conversazioni avute a Trieste (in occasione di un convegno organizzato da Mcl) con i responsabili di due sindacati della Bosnia Erzegovina e della Serbia, Franjo Topic, che è un sacerdote ed è a capo di Napredak, e Branislav Canak, giornalista oggi presidente di Nezavisnost. «I giovani non sono molto attivi», introduce Topic, «certo sono consapevoli della loro situazione, sono anche critici, ma non fanno nulla». «Il tasso di disoccupazione complessivo è risalito al 24%», gli fa eco Canak, «in alcune aree del sud della Serbia il 94% dei giovani tra i 16 e i 24 anni non ha un lavoro». A Sarajevo come a Belgrado è necessario scuotere quel disagio giovanile che può diventare rassegnazione, fatalismo. Non stupisce però che ciascuna di queste due organizzazioni adoperi strumenti diversi.
Il ruolo del calcio
A Sarajevo, che Giovanni Paolo II definì la «Gerusalemme europea», il cammino verso la pacificazione tra le differenti etnie e le diverse religioni ha assunto l’andamento rapido dei giovani calciatori di una squadra di calcio. Giovani atleti, musulmani, ortodossi e cattolici, che giocano e insieme gareggiano nel campionato di serie A. «Un modo molto concreto di alimentare il dialogo. Non puoi riconciliare la gente con la forza. Serve un messaggio positivo: e i tifosi capiscono anche solo dai loro cognomi che i giocatori appartengono a religioni diverse», spiega Topic. In un Paese in cui non mancano scontri tra le tifoserie, la Sask Napredak è una parte di questo messaggio. Assieme alla scuola di calcio (dove si allenano cento ragazzini, di ogni etnia), assieme ai cori, ai numerosi gruppi folcloristici e artistici, alla facoltà teologica che porta avanti un intenso dialogo interreligioso. Senza contare le 200 borse di studio assegnate ogni anno (ciascuna di 50 euro al mese) che permettono ad altrettanti giovani di costruirsi un futuro. Anche così si smonta quella che Topic definisce «l’immagine negativa dei Balcani». Dando esempi buoni e creando strutture per il dialogo. «Entro maggio speriamo di completare la costruzione del centro multimediale, che ha il sostegno economico anche di Mcl, a pochi chilometri da Sarajevo. Ci saranno due sale per seminari e conferenze, per i corsi di lingua dei giovani, per incontri di carattere culturale, cui parteciperanno naturalmente i diversi gruppi etnici».
Nessuna solidarietà
Dal canto suo, Nezavisnost (uno dei due sindacati serbi più rappresentativi) porta avanti la sua lotta contro la mancanza di solidarietà fra i lavoratori (e tra questi e i pensionati). «Una conseguenza del comunismo», spiega Canak, «della filosofia secondo cui qualcuno risolverà i tuoi problemi, che non hai bisogno di essere solidale». Canak e i suoi (che per Milosevic erano i «cattivi», i «traditori») conoscono bene le conseguenze di una disoccupazione giovanile così generalizzata. Ne hanno studiato le cause («oggi un ragazzo che termina gli studi non è affatto pronto a svolgere un lavoro»). E stanno ragionando sulle iniziative: «Occorre creare un meccanismo che permetta l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Nello stesso tempo dobbiamo impegnarci a sensibilizzare i giovani. Dobbiamo spiegare loro la correlazione fra uno stipendio e una pensione, correlazione molto problematica in un Paese come il nostro in cui c’è un pensionato ogni lavoratore».
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