Cultura

I bagordi di quartiere fanno felice Amburgo

Le banlieue/ La rinascita di un pezzo di città attorno a un festival

di Maurizio Regosa

Siete ad Altona, in uno dei cuori di Amburgo. Volete affittare una bicicletta perché qui al nord le strade ciclabili esistono eccome. Che fate? Guardatevi attorno: proprio di fronte all?uscita della metropolitana, c?è un negozio che fa per voi. È conveniente e in pochi minuti potrete avere una bella due ruote. Già che siete entrati, però, prendetevi anche un depliant e soprattutto leggetelo. Scoprirete delle cose interessanti. E soprattutto vi renderete conto che siete nel Fokus Altona, vero e proprio avamposto.

Per capire di che cosa si tratta, occorre andare indietro al 1998, anno in cui la circoscrizione decide di organizzare, in occasione del centenario della stazione di Altona, una festa di quartiere. Ne affida la cura a un?agenzia pubblicitaria. La macchina si mette in moto, ma le cose non vanno. Metodi troppo ?tradizionali?, cioè da show biz. Nessun rapporto con il territorio. Il risultato è deludente: la prima festa è un semi fiasco.

Qualcuno in verità aveva previsto che l?agenzia non sarebbe riuscita a creare l?evento atteso. È il cinquantenne Michael Wendt, a capo della Motte, un centro di quartiere autogestito, creato nel 1979 da alcuni ex sessantottini che, preoccupati per l?asfalto che mangia la città, sognano una metropoli a misura d?uomo e intendono occuparsi di giovani. Wendt va dai responsabili della circoscrizione e fa loro il seguente ragionamento: la Motte negli anni ha creato una fittissima rete di relazioni. Siamo i soli ad avere la capacità di costruire un?iniziativa partecipata. Affidatecela. Creeremo quella festa di quartiere che volevate, con l?appoggio e il coinvolgimento di tutte le realtà locali.

Wendt non esagera. Motte è realmente una piccola lilliput e vanta un network articolato (con più di 100 partner), una profonda conoscenza della comunità, oltre che anni di esperienza.

Altonale, come Berlinale
Sul rinnovato impulso della Motte, nel 1999 nasce Altonale (e il calco su ?Berlinale? la dice lunga sulle ambizioni), cioè la festa dedicata ad Altona, realizzata in modo partecipato da tutte le associazioni del quartiere. Anno dopo anno l?appuntamento non smette di crescere fino ai risultati davvero notevoli dell?edizione 2006, l?ottava: un festival culturale che è durato due settimane (dal 2 al 18 giugno), con eventi di arte, letteratura, teatro, gastronomia e salute.

Una manifestazione durante la quale tutte le realtà locali hanno potuto presentare se stesse, le proprie attività, la mission. Tutte hanno voluto esser presenti: associazioni per la difesa delle donne, animalisti; scuole di lingue, di arti marziali, di tango; praticanti di shiatsu, nutrizionisti. Naturalmente gli artisti. C?erano i commercianti (con ben 170 stand). E ovviamente c?erano gli abitanti di Altona (più di 120.000, ma l?intera circoscrizione ne ha 240.000). Nei bagordi dell?ultimo weekend gli ?altonaer? hanno speso circa 7 milioni di euro.

I risultati nascono dal metodo
Responsabile dell?evento è l?omonima Altonale, una Gesellschaft buergerlichen Rechts, ossia una società di diritto civile, qualcosa di analogo alla nostra impresa sociale, i cui soci sono circa una ventina di rappresentanti delle realtà locali.

La festa, che è appoggiata dalla circoscrizione, è finanziariamente autonoma: gode sì di sovvenzioni pubbliche che sono assai contenute (14mila euro), a fronte di un budget di 250mila (realizzato tramite un mix di fundraising, donazioni, vendita degli spazi espositivi).

Un risultato che non nasce dal caso. Anzi. Per tutto l?anno precedente la festa, le associazioni del quartiere lavorano gomito a gomito, divise in venti gruppi d?interesse coordinati da Michael Wendt. «In questo modo», commenta, «realtà che altrimenti non si parlerebbero si conoscono, le reti associative sviluppano il loro potenziale sociale, dando un contributo significativo alla crescita dell?identità del quartiere. Che è fatta soprattutto di diversità: conoscendosi e impegnandosi per questa iniziativa, le differenti associazioni imparano a rispettare gli interessi delle altre».

La storia continua?
Con l?ultima edizione si è accentuato anche un altro aspetto, cioè il rapporto con le iniziative profit che hanno sede o operano nel quartiere. Quelle più tradizionali come il grande centro commerciale Mercado, ma anche quelle alternative, come i negozi bio.

«In questo senso», spiega sempre Wendt, «si è lavorato per superare il tabù della separazione fra arte e commercio, società ed economia. Così per esempio circa novanta negozi hanno messo a disposizione degli artisti di Altona le proprie vetrine per esporvi le loro opere». Interessi molto diversi, va da sé, che però possono convergere in questa specie di grosse koalitionen casereccia ma all?avanguardia, in nome del bene comune.

La storia sembrerebbe finita qui. Invece colpo di scena: da una costola della festa, nasce quest?anno il negozio di cui si diceva, Fokus Altona, che affitta biciclette e propone servizi ai residenti e ai turisti.

Per i primi svolge le veci della circoscrizione (ma funziona meglio). Ai secondi offre servizi utili e ancora una volta piuttosto originali. Un esempio? Se un turista vuole conoscere questo quartiere che fino al 1939 era un centro autonomo, poi inghiottito dalla metropoli, può chiedere che Fokus Altona organizzi un tour. Ma attenzione: le guide non sono ?semplici? esperti, lavorano come storici all?archivio del quartiere e propongono una visione non solo urbanistica della zona.

Di queste settimane, l?ennesima idea, ancora in fase embrionale, provocatoria se non eretica e che farà fibrillare i cuori leghisti: coniare una moneta di quartiere, alternativa all?euro, che concretizzi la critica nei confronti del turbocapitalismo, sostenga l?economia locale e sussurri: «spendimi ad Altona»?

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.