Volontariato
I terroristi di San Petronio. Il mite Germano con tutti i suoi figli
Germano Caldon in agosto finì sotto i riflettori di tutti i mass media del mondo. La polizia laveva arrestato con quattro marocchini nella cattedrale di Bologna.
Quando uno dice la sfortuna. Germano Caldon, 55 anni, maestro in pensione, calvo, barbetta bianca e magro come un chiodo, non ci ha dato appuntamento a Teolo, sui Colli Euganei, dove vive («da solo? No, con mia madre, mio padre e la famiglia di mio fratello, una specie di ?maso patriarcale?. Ma nel mio appartamento sono solo. Non sono sposato e non ho figli: i miei figli sono i berberi?»). Ché sarebbe un posto ideale, Teolo, per fare una gita nel padovano. Ville, città d?arte, chiese, terme. Si trova in posizione strategica per visitare i Colli Euganei, Teolo, e per far fanghi alle terme, ovvio.
Sette ragazzi
Macché. Germano Caldon ci ha dato appuntamento a Tencarola, una bella schifezza di periferia che si trova a nemmeno 5 chilometri da Padova. Lì abitano i suoi ragazzi: Karim, Omar, Hichm, Mohammed, Miloud, Ibraim e Rapia, che è donna. Ecco, se non ho contato male sono 7. Vivono in una casa di due piani e tre stanze, bagno fuori e una stufa, che cade a pezzi. Stufa e casa. Germano va lì da loro ogni giorno perché ogni giorno c?è qualche lavoretto o qualche pratica da svolgere per nome e per conto loro: permessi da compilare, documenti da chiedere, buste paga da verificare. Mentre loro lavorano, s?intende. Ecco, Germano in fondo è come se facesse servizio di catering. Per loro, per i suoi ?figli? berberi («No berberi», salta su Mohammed, «solo marocchini!». «Macché marocchini, arabi e basta!», ribatte Karim), quelli cui Germano Caldon ha dedicato la vita.
La balla mediatica
I suoi averi. La sua passione di educatore, insegnante, animatore, conoscitore di luoghi e persone. Al punto che oggi non ha quasi più una lira, il professor Caldon. Al punto che lui però se ne frega.
Al punto da finire, e da far finire qualcuno di loro, in galera, a Bologna, alla fine di quest?estate con accuse gravissime: «cellula di Al Qaeda pronta a far saltare in aria la basilica di San Petronio», titolarono i giornali, tutti i giornali, e aprirono i servizi i tg, tutti i tg, lo scorso 20 agosto. Bum. Nel senso della balla mediatica, s?intende. Perché non c?era nessun attentato in vista, a Bologna. Perché non c?era nessun terrorista, dentro la basilica, a prendere le misure al Maometto ?insultato? dall?iconografia cristiana e pronto a restituire l?insulto facendo saltare in aria infedeli e miscredenti.
Meglio i terroni
Ma forse è meglio fare un passo indietro, prima. E spiegare chi è Germano Caldon, insegnante. Uno cresciuto in parrocchia, che poteva fare il prete, a forza di andare a messa, e invece ha fatto il 68. Con Gioventù aclista, che era un po? come dire la sezione confessionale della Fgci, per capirci. Poi il riflusso, la fuga nell?insegnamento: educazione artistica e disegno, alle medie superiori. E una vocazione, quella di educatore più che di professore. Dentro le aule e fuori dalle fabbriche. Poi, piano piano, solo dentro le aule. Se li ricorda bene, gli anni 80, Caldon: «I miei alunni scrivevano sui fogli da disegno ?Forza Etna? e ?A casa, teroni!?. E io me li portavo in Sicilia. In gita, certo, ma anche per farglieli vedere da vicino, ?sti teroni?. Poi mi prese la passione per l?ecologia. Orti biologici, educazione alimentare e simili. Andavo spesso a Vittoria, a Messina, a Catania. Cercai anche di mettere su una cooperativa, ma fallì. Eravamo già negli anni 90, ormai. Scoprii lì, in Sicilia, la realtà, i drammi e le prime tensione dell?immigrazione extracomunitaria. Ne conobbi molti e vidi che vivevano come bestie: sfruttati, disperati, in mano alle mafie nostre e loro. Decisi di convincerne alcuni, quanti più potevo, anche se non tutti, a venire a vivere su, al Nord. C?era più lavoro, maggiori opportunità, nessuna mafia. Ma non so se ho fatto bene, alla fine. Loro ancora oggi preferiscono di gran lunga il Sud: ?la gente è gentile, ospitale, come da noi?, dicono».
Caldon ha fondato una cooperativa per aiutarli a trovare casa e lavoro. «La Questura, ancora prima dei fatti di Bologna, mi chiamava e mi chiedeva: cosa ci guadagni e quanto? Niente, rispondevo. Non mi credevano. Come molti: ?Nessuno fa niente per niente?, dicevano. Ma io lo faccio per loro, mica per niente, rispondevo. Certo, è difficile, soprattutto quando cerchi di fare le cose in regola. Ho cercato di spiegar loro che bisogna fare le cose in modo pulito, come dice la legge, e sai qual è il risultato? Che la Bossi-Fini oggi premia i clandestini con la sanatoria e scaccia quelli in regola, come gli stagionali, con contratti di lavoro temporanei, ma alla luce del sole». Come Karim.
Karim, portafango
Ha 23 anni, anche se ne dimostra molti di più, porta gli occhiali ed esibisce un bel berretto rasta. Lavora come ?portafango? ad Abano Terme, il primo centro termale d?Europa, il vanto della zona. Già, i fanghi. Belli per chi li fa, meno per chi ci lavora. «Prendi i tedeschi: si svegliano alle 5», dice. «E dopo cinque minuti sono già lì che vogliono farsi i fanghi. Io porto loro i secchi di fango: caldi e pesantissimi. Lavoro otto ore al giorno e guadagno 800 euro al mese, ma solo da marzo a novembre, quando la stagione termale finisce. E ora dovrò tornarmene in Marocco, temo».
Karim è uno dei ?figli? che Germano Caldon ha adottato e che aiuta, anche se il suo figlio prediletto si chiama Mohammed: lo ha aiutato a comprare casa, grazie a un prestito della Banca etica, e ora lo aiuta a tirare su i bambini, che sono tre, di cui uno è handicappato.
Ora anche i suoi due fratelli sono arrivati a Padova, dal Marocco, e le case sono diventate tre: Germano se non è qui, è lì da loro. S?è innamorato delle loro usanze, della loro cultura, del loro modo di vivere, «povero ma fiero». In Marocco, tra Casablanca e Agadir, o all?interno, sui monti dell?Atlante, è già andato molte volte: «Come dappertutto ci sono quelli ricchissimi e quelli che muoiono di fame, gli onesti e i ladri, i fanatici e gli illuminati, gli ignoranti e gli istruiti. Ma mi ricordano il mio Veneto, i miei avi, le vite fatte di pellagra e polenta, di fatica e di emigrazione. Mi sembrava così naturale cercare d?aiutarli».
Senza un euro
Solo che a forza di aiutarli, Caldon ci ha rimesso i soldi (la cooperativa Arbania, «centro d?iniziativa italo-araba», recita il biglietto da visita, è semifallita e lui non ha più un euro nemmeno per iscriversi al registro delle associazioni di volontariato), la salute (è stanco, nervoso) e, quest?estate, anche qualche giorno di galera. Oltre a un po? di fugace notorietà, non richiesta, e a un numero considerevole di minacce di naziskin, leghisti e simili, che riceveva già prima s?intende, ma che sono aumentate. Come l?ostilità di molti, nella zona, che la solidarietà di altri non ripaga.
Sette ragazzi
Soprattutto, però, un dubbio morale assale il professore, quando ripensa a quella ?maledetta gita?: «Perché li ho portati lì? Perché volevo far vedere loro le chiese, non solo spiagge e piazze d?Italia». «Che errore, che ingenuità», disse a caldo, subito dopo la grande paura dell?arresto seduta stante, appena all?uscita della chiesa, della ?traduzione? in commissariato, stile Pinocchio e i suoi amici, degli interrogatori lunghi e pesanti, anche con qualche momento di tensione, schiaffoni compresi.
«La solidarietà che ho apprezzato di più è quella che ho potuto toccare in galera, delle guardie carcerarie come dei compagni di cella, arabi e italiani. Sai, in carcere sopravvivere non è facile: devi sapere cosa e quando mangiare, cosa dire, cosa fare. Esperienza che ha traumatizzato i miei amici marocchini: Abdallah, Ahmed, Lahcem, Abdel Malek. Abdul, soprattutto, ancora oggi sobbalza di paura ogni volta che vede una divisa, vigili compresi. Gli altri, ad esempio, non vogliono più mettere piede in un edificio pubblico, di qualunque genere. E poi pensa al disonore di vedersi finire sulle tv di tutto il mondo, Al Jazeera compresa: le famiglie, in Marocco, sono saltate sulle sedie e, spaventate a morte, hanno detto loro «scappate dall?Italia». In compenso, ora si sono iscritti tutti a scuola: vogliono imparare l?italiano, farsi capire. No, le chiese non le amano. Non capiscono perché Gesù Cristo debba essere rappresentato nudo. Di politica cercano di non parlare più. «Basta discorsi», dicono ora. Ma sono contrari alla guerra, alla politica degli Usa e di Israele e alcuni simpatizzano davvero per Bin Laden. Sai, loro sono arabi».
Già, arabi. Marocchini, per la precisione. Berberi, sarebbe meglio dire. La tensione del racconto scema. Germano sorride, si rilassa. I suoi amici, alcuni disposti a farsi fotografare, altri no, riprendono le loro occupazioni: chi va ad arrotondare con qualche lavoretto nei campi, chi si mette davanti alla tv.
Padroncini marocchini
Caldon deve tornare a lavorare per loro: altri permessi da rinnovare, altri amici da strappare alle grinfie dell?immigrazione clandestina, altre battaglie con i ?padroni? (di lavoro e di casa) che «fanno i furbi, cercano di pagarli in nero, fanno loro firmare carte in bianco in cui s?impegnano a sloggiare appena trovano affittuari italiani? Sembrano tanti marocchini anche i padroncini veneti, sai? A metà tra furbizia e illegalità. Ma certo, sempre meglio che in Sicilia, dove erano in mano alla criminalità».
Già, solo che i ragazzi non sono d?accordo: «Almeno al Sud è più facile parlare con la gente, anche con le ragazze». Problema sentito, quello del rapporto con l?altro sesso, quasi quanto casa e lavoro. Ma anche lì, dipende sempre dalle circostanze. Uno dei loro amici arrestati a Bologna, ad esempio, ci raccontano, uno di quelli che si lamentava sempre perché non riusciva a conoscere delle ragazze, appena uscì di galera si trovò davanti una folla di giornalisti, cameraman, fotografi e curiosi. Una ragazza gli chiese l?autografo, mostrando il fondoschiena. Fammelo qui, disse. Lui scappò via.
Ancora indagato
Siamo andati a far visita all?ancora indagato, in quanto ?presunto terrorista?, Germano Caldon. Abbiamo conosciuto lui, il ?cattivo maestro? dei giovani (e presunti) seguaci di Bin Laden. Arabi. Marocchini, meglio. Berberi per la precisione. Erano tutti lì, attorno a lui. A parlare e ad ascoltare. Ne siamo usciti con tante storie di dolore, fatica, immigrazione, clandestina e non, e paure mai sopite. Abbiamo gustato un buon caffè marocchino e diviso con loro un?ottima torta fatta in casa. Gentili, questi terroristi, ci siamo detti. Soprattutto abbiamo ascoltato le loro storie. Di tutti i giorni.
Non hanno vita facile, di questi tempi, i marocchini. O, meglio, i berberi.
Anzi no: gli arabi. Insomma, quelli lì. Un saluto speciale a Karim, portafanghi.
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