Economia

Humus: la sharing economy applicata al lavoro agricolo

Nelle valli cuneesi un antropologo, una psicologa e un agricoltore hanno creato una startup innovativa che promuove l'utilizzo del contratto di rete in agricoltura: l’obiettivo è far sì che le aziende tornino ad assumere, in maniera diretta e condivisa. Le ultime novità sono un contratto nazionale di rete e un marchio “lavoro 100% etico". Quella di Humus è una delle 25 storie di giovani imprenditori innovativi che raccontiamo sul nuovo numero di Vita

di Sara De Carli

La sharing economy può aiutare a contrastare il lavoro irregolare in agricoltura e le derive di sfruttamento e caporalato che ancora sono troppo diffusi? Humus è convinta di sì. Humus è una startup innovativa a vocazione sociale nata nel marzo 2019 in Valle Grana (Cuneo), dopo il percorso di accelerazione fatto nel 2018 con SocialFare, "Foundamenta", giunto ormai all'11° edizione. Humus è il primo servizio in Italia di job sharing agricolo: attraverso la formula del Contratto di Rete e la condivisione della manodopera, incentiva tra le piccole aziende agricole l’assunzione di personale con contratti regolari. A quasi un anno dal lancio della piattaforma di incontro fra domanda e offerta lavoro, il 19 marzo Humus Job presenta ufficialmente la Community Agrorà e il Contratto di Rete nazionale Humus, una soluzione per collaborare tra aziende agricole riducendo i costi e aumentando competitività e sostenibilità sociale (ore 18/19,30 sulla pagina Facebook di @humusjob). Le aziende bio dell'ecosistema NaturaSì potranno far parte della rete di Humus Job: così, tra i meccanismi premiali delle aziende agricole aderenti alla piattaforma, troveranno spazio oltre alla sostenibilità sociale anche la sostenibilità ambientale e la pratica dell'agricoltura biologica. Il CEO di Humus è Claudio Naviglia, 36 anni.

Come nasce Humus?
L’idea è nata nel 2018. Io la mia socia Elena, la psicologa, avevamo già fondato un’associazione – MiCò Aps – che si occupa di migrazioni e lavora con richiedenti asilo e migranti, con un focus che a un certo punto è andato sulla montagna. Arriviamo così in Valle Grana. Da Monterosso Grana il comune ci chiama come associazione perché nel 2016 hanno aperto un centro per l’accoglienza di richiedenti asilo e l’arrivo di queste 24 persone sconvolge gli equilibri del paese. C’è una parte della comunità che scende in piazza e allestisce presidi. Iniziamo lavoro di ricucitura, puntando sul lavoro che è la via principe di accesso all’inclusione. In Piemonte il lavoro identifica chi sei ancor più delle passioni…

Il contratto di rete permette di distaccare il lavoratore sulle varie aziende della rete. È uno strumento che il legislatore ha messo a disposizione, usiamolo. L’obiettivo è far sì che le aziende tornino ad assumere, in maniera diretta e condivisa.

E come va?
Mettiamo a regime alcuni servizi, prima di tutto uno sportello lavoro per facilitare l’incontro fra domanda e offerta, che è ancora attivo. Mentre siamo lì, conosciamo una serie di aziende agricole locali che riconosce che i migranti siano una risorsa e dice che potrebbero essere inseriti nelle loro organizzazioni dopo un corso di formazione… Troviamo i fondi per fare formazione, il corso crea relazioni e così si attiva un circolo virtuoso. Nascono rapporti di lavoro, che fanno sì che le persone a tutt’oggi vivano in valle. Meraviglioso. Tutto attraverso la cura delle relazioni. L’ultimo pezzo del racconto è questo: le aziende ci raccontano della loro collaborazione attraverso la modalità del contratto di rete, che non conoscevamo… Capiamo che è una modalità di messa in rete degli attori economici geniale. Una bellissima idea del legislatore, ancora poco diffusa in agricoltura. Una condivisione leggera ma che può essere una via di uscita dall’individualismo puro. Perfetta per l’oggi. Capiamo che questa cosa alle aziende serve davvero. Così iniziamo un percorso che ci porta a trasformarci in impresa sociale con la modalità della startup innovativa a vocazione sociale, che fa riferimento a tutta finanza impatto che abbiamo iniziato a scoprire. Una progettualità che si affaccia sul mercato, con una forte connotazione sociale.

Cosa serve alle aziende esattamente?
L’incontro tra domanda e offerta di manodopera in agricoltura e in allevamento. C’è molta informalità in questo settore, inutile nasconderlo. Ci siamo detti questo: vediamo se applicando la sharing economy riusciamo a prenderla diversamente, perché finora c’è stata contrapposizione ma questo non ha portato a una soluzione. Noi ci rivolgiamo a piccole e medie aziende. La manodopera regolare costa tanto, ma se vi mettete in rete potete condividerla e avere possibilità di risparmio, di investire. Perché non lo assumete insieme? Ecco il contratto di rete, che permette di distaccare il lavoratore sulle varie aziende della rete. È uno strumento che il legislatore ha messo a disposizione, usiamolo. L’obiettivo è far sì che le aziende tornino ad assumere, in maniera diretta e condivisa. Noi vi aiutiamo con la parte di costruzione delle reti e con la formazione. E diamo visibilità alle aziende che assumono regolarmente, rilasciando un bollino etico di qualità del lavoro, il marchio “lavoro 100% etico”.

Come è andata?
Va molto bene, abbiamo 2.300 lavoratori iscritti, una trentina di aziende iscritte e due reti attive, una nel saviglianese e una in Valle Grana. Presto però ci siamo resi conto che non potevamo andare a fare reti in tutta italia. Allora l’idea successiva è stata quella di fare una unica rete in cui Humus è capofila, le aziende sposano un disciplinare e usufruiscono di servizi. Quindi abbiamo chiuso a dicembre il nuovo Contratto Nazionale di Rete Humus, che presenteremo il 19 marzo insieme alla con un evento online sulla nostra pagina Facebook. Sta già riscontrando un ottimo interesse. L’azienda entra nella rete e usufruisce dei suoi benefit ma senza dover mettere in piedi una rete locale, trovare altre aziende vicine… Non facciamo intermediazione, anche se a tendere vorremmo farlo. Mettiamo a disposizione uno strumento. Inoltre noi animiamo le reti, ti mettiamo a contatto con varie opportunità, in maniera elastica e flessibile, anche segmentando. C’è uno step ulteriore in corso, che prevede che una squadra di 4 o 5 persone tutta insieme lavori in sharing su più aziende, come alternativa alle cooperative senza terra. Sulla formazione continuiamo a cercare finanziamenti esterni per fare corsi di formazione localizzati, per futuri lavoratori da inserire nelle aziende della rete.

Se non avessimo iniziato a fare rete, curando le relazioni, non saremmo stati credibili nel vendere una rete. Se non diventi tu impresa, non puoi capire per davvero le difficoltà di un'azienda. Per noi che veniamo dal sociale metterci sul mercato è stato difficile, ma direi determinante. Dobbiamo uscire dalla nostre zone di comfort e “lanciarci”. Su questo credo che il sociale debba molto interrogarsi

Il marchio 100% etico cos’è?
Ovvio che l’investimento che faccio come azienda con l’assunzione diretta ha costi superiori a quelli di un lavoratore in nero, così come ha costi maggiori l’investimento sul biologico… però non c’è oggi una certificazione etica specifica per il lavoro etico in agricoltura. Noi non siamo un ente certificatore, ma alle aziende che aderiscono al nostro disciplinare, se lo chiedono, diamo un marchio che dice che sono parte un sistema e che c’è un controllo sui contratti, le buste paga, che l’azienda è sostenibile sul fronte della manodopera. Lo lanciamo a marzo ma abbiamo avvertito già interesse, soprattutto da parte dei clienti che lavorano a livello internazionale.

Quanti siete?
Tre persone. Io, Elena Elia che si occupa di comunicazione e marketing, ma anche di tutta la parte di creazione di comunità virtuale che è essenziale. Il cappello di tutto è la cultura, perché un servizio può essere competitivo o meno ma la necessità vera è quella del lavoro culturale da fare. La terza persona è Luca Barraco, una persona geniale, ha un'azienda agricola in Valle Grana ma ora ha lasciato la parte agricola e dialoga con le aziende agricole, conoscendo perfettamente la loro realtà.

Chi o cosa è stato determinante?
Fare quello che proponi. Se non avessimo iniziato a fare rete, curando le relazioni, non saremmo stati credibili nel vendere una rete. Se non diventi tu impresa, non puoi capire per davvero le difficoltà di un'azienda: per noi che veniamo dal sociale metterci sul mercato è stato difficile, ma direi determinante. Io ed Elena abbiamo un background come educatori, psicologi, la nostra esperienza di lavoro era con i minori… abbiamo imparato tanto. Dobbiamo uscire dalla nostre zone di comfort e “lanciarci”. Su questo credo che il sociale debba molto interrogarsi: non puoi andare a dire qualcosa, se prima non l’hai esperita tu. E poi c’è la meraviglia della rete, che è orizzonte di cambiamento antropologico: se riusciamo a metterla a frutto ha possibilità enormi di impatto sociale. È un bene immateriale, è faticosa… ma è di valore e sta mettendo in crisi l’individualismo a cui eravamo abituati, in alcuni casi accentuandolo ma in altri aprendo piccole rivoluzioni senza entrate in soluzioni comunitarie.

Quella di Humus è una delle 25 storie di giovani che si sono messi al lavoro che raccontiamo sul nuovo numero di Vita, in distribuzione dal 5 marzo. Siamo andati a conoscere tanti startupper, imprenditori sociali, benefit manager, cooperatori e worker buyout. Per scaricare il numero vai allo shop online.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.