Welfare

Ho un portafoglio e lo userò. Così

Riforma dell’assistenza nei piani della Turco

di Marco Piazza

Italia, aprile 1998. Prima pagina di un quotidiano qualsiasi, i titoli di apertura sono in genere dedicati al nostro ingresso in Europa o ai giudizi più o meno lusinghieri di qualche istituto estero. Titoli sempre più spesso dedicati all’economia, alla moneta unica, a Maastricht o alla Borsa. Bisogna scendere più giù, a centro pagina, o addirittura bisogna sfogliare pagine e pagine, per imbattersi con il lato più duro della realtà, per leggere dei bambini schiavi alle porte di Roma, o dei gesti di disperazione di alcuni disoccupati in Sicilia. Anche tra i ministri ci sono quelli da prima pagina e quelli da pagine interne. Eppure c?è una donna ministro che, pur apparendo di meno, sta divenendo un punto di riferimento serio per chi si occupa di giovani, di povertà o di bimbi. Questa donna è Livia Turco, ministra della Solidarietà sociale, che preferisce parlare di anziani invece di riforma previdenziale, di sostegno alle famiglie invece di welfare. Insomma, le persone prima di tutto. Nel suo settore non c’è differenza tra fase uno e fase due, come amano dire i ministri dell’economia. Nel suo campo la scommessa di questo governo è ancora in parte da giocare.
Ministra, Prodi sorride sbandierando ovunque il suo successo principale: l’ingresso in Europa. E lei di cosa va fiera?
La cosa che mi fa più contenta è il fatto che siamo diventati finalmente un ministero con portafoglio. È insieme un fatto reale e un fatto simbolico. Reale perché potremo disporre di risorse certe anche se non potremo gestirle direttamente, perché le trasferiremo a Regioni e Comuni. Nel 1995 il governo Dini aveva in bilancio 350 miliardi per interventi sociali. Oggi, invece, nell’ultima Finanziaria abbiamo previsto in bilancio 1.450 miliardi. È un fatto anche simbolico, significa che le politiche sociali non sono più ritenute marginali.
Qual è il suo maggior rimpianto in questi due anni? Quale la cosa che avrebbe già voluto realizzare ma non ha potuto?
Avrei voluto fosse già stata approvata la legge di riforma dell?assistenza perché rappresenta un cardine fondamentale di una nuova politica sociale.Invece ci siamo accordati col Parlamento. Ho rinunciato alla possibilità di una delega al governo e ho lasciato l’iniziativa nelle mani di deputati e senatori. L?ho fatto perché ho un profondo rispetto delle Camere. Spero di non dovermene pentire perché si tratta di una riforma improrogabile.
Teme che i tempi per una riforma dell’assistenza si allunghino a dismisura?
Per quanto ci riguarda posso dire che il governo è in dirittura di arrivo con il proprio progetto di riforma. Aspetto, spero in tempi brevissimi, le risposte dei ministri del Tesoro e delle Finanze per la copertura economica, poi porterò il progetto all?approvazione del Consiglio dei ministri.
Ci può anticipare le linee guida della riforma dell’assistenza?
Il primo obiettivo è definire standard delle politiche sociali essenziali e validi per tutti. Oggi ci sono interventi che variano di regione in regione, disparità, squilibri esagerati. Il secondo obiettivo è riordinare l?assetto istituzionale trasferendo sempre più competenze a Regioni e Comuni, lasciando al governo centrale una funzione di indirizzo e di controllo. Il ministero della Solidarietà sociale sarà chiamato ogni tre anni a presentare il piano sociale nazionale indicando a Regioni e Comuni le direzioni di intervento. Il terzo cardine della riforma è quello delle risorse. Punteremo a investire sulla rete di servizi e un ruolo importante dovranno averlo gli enti del Terzo settore. Infine, riformeremo l’istituto dell’invalidità, distinguendo i disabili dagli anziani non autosufficienti. Ai primi offriremo una rete di servizi e la pensione, per i secondi creeremo un apposito fondo.
L’ingresso in Europa cosa cambierà per le politiche sociali?
L?Europa non può essere solo la moneta unica e abbiamo voluto sottolinearlo con iniziative concrete come il disegno di legge sui congedi parentali che è una misura che ci allineerebbe agli altri Paesi. Entrare in Europa vuol dire costruire un nuovo Stato sociale che includa chi oggi è escluso e che abbia anche la capacità di rompere le gabbie corporative molto presenti e radicate nel nostro Paese.
Tra le associazioni il suo ministero riscuote indiscutibili consensi. C’è però una critica diffusa: l’incapacità di comunicare. Se si fanno buone leggi ma vengono comunicate male non si vanificano gli sforzi?
È una critica giusta. Credo che affronterò il problema presto.

L?opinione di Giuliano Cazzola
Troppe leggi delega

L a delega è uno strumento legislativo costituzionalmente corretto e politicamente opportuno. Soprattutto quando si tratta di regolare materie complesse per le quali sono necessari parecchi provvedimenti. Il governo Prodi ne ha fatto largo uso; ma prima anche altri esecutivi si erano fatti attribuire molte deleghe dal Parlamento. Il solo governo a cui venne interdetto il ricorso alla delega fu quello presieduto dal povero Berlusconi.Va da sé che le materie fiscali, previdenziali, quelle attinenti ai rapporti tra i diversi livelli istituzionali e agli stati giuridici e normativi del pubblico impiego sono le più adatte per intraprendere l?iter della legislazione delegata. Nulla da dire, quindi. Lo strumento della delega è anche il più utile quando si intende governare il Paese attraverso la concertazione con le parti sociali anche a costo di dribblare le Camere. Infatti l?esecutivo realizza intese di principio con i sindacati. Tali accordi vengono raccolti in norme di delega e varati, in forma legislativa da un Parlamento in cui esiste – politicamente – solo la maggioranza. Poi il governo torna a concordare i testi dei decreti legislativi con i soliti sindacati. Ecco spiegato come in talune particolari circostanze politiche, una prassi di concertazione a 360 gradi e l?uso disinvolto della delega possono, combinati insieme, realizzare un sostanziale sviamento di poteri e consolidare l?ordinamento della seconda Repubblica: non più fondata sul lavoro, ma sui (sedicenti) rappresentanti dei lavoratori subordinati.

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