Mondo

Ho il mal d’Africa. anzi di più: ho la Febbre

Mediterraneo è il film che lo ha reso famoso dieci anni fa. Poi un viaggio nel continente nero con Amref ha dato una svolta alla sua vita professionale.

di Emanuela Citterio

L?Africa gli brucia nelle ossa come La febbre, lo spettacolo teatrale che sta portando in scena con grande successo. Giuseppe Cederna è noto al grande pubblico soprattutto per Mediterraneo, il film di Salvatores in cui impersonava il tenero soldato innamorato. Ma dopo quel film, nel 92, un viaggio ha cambiato tutta la sua vita. Da dieci anni è testimonial di Amref – African medical and research foundation, un?organizzazione non governativa che opera soprattutto in ambito sanitario in 14 Paesi africani. Vita: Che cos?è La Febbre? Giuseppe Cederna: È lo spettacolo di cui vado più fiero. Un monologo sferzante sul rapporto fra Nord e Sud del mondo. È la confessione dura, sincera e inquietante di un occidentale catapultato in un Paese povero, alle prese con il tentativo di esorcizzare il proprio senso di colpa per ciò di cui è testimone. È un testo ?disturbante?, scritto dall?americano Wallace Shawn. Ce l?avevo in tasca quando sono partito per l?Africa con Amref. Vita: Dopo quel viaggio, hai portato in tournée questo spettacolo per tre anni e lo rimetti in scena almeno cinque volte all?anno. Cosa sei andato a fare in Africa? Cederna: Nel 92 mi hanno chiesto di partire come testimone, per fare da ?occhio? alla realtà che Amref voleva documentare. Fare ?l?occhio? per qualcuno è un ruolo strano. Non hai altro compito se non quello di guardare: non sei un fotografo, non sei un giornalista, sei solo qualcuno che deve registrare. Fare l?occhio per una ong come Amref ha voluto dire trovarsi in situazioni di disagio e di conflitto. Ho visto la carestia, la guerra civile, campi profughi. Persone vittime della fame e della violenza delle bande militari. Niente a che fare con l?Africa che avevo visitato nei viaggi precedenti, tra Marocco e Algeria: l?occhio in quel caso aveva registrato bellissimi paesaggi e le tracce delle antiche civiltà del deserto. Qui invece qualcosa si era rotto. Vita: Quali Paesi hai visitato? Cederna: Sono stato in Sudan, in Somalia e in Kenya. Sono arrivato a bordo di un piccolo aereo in un villaggio sudanese dove venivano spediti gli aiuti per le vittime del conflitto civile che oppone il nord al sud del Paese. L?intenzione era quella di girare un video che documentasse quello che stava succedendo. Fare l?occhio è stato molto doloroso: ho visto persone allo stremo, vicine alla morte per fame. A un certo punto sono stato anche preso in ostaggio, con le altre persone del piccolo aereo su cui viaggiavo, da un gruppo di guerriglieri. Potevo solo chiuderli, gli occhi, dopo quello che avevo visto. E invece dovevo tenerli aperti, per poter raccontare e girare il video. Alla fine sono riuscito a realizzare un piccolo documentario, e soprattutto a riportare indietro la pelle, insieme a questo ricordo doloroso e nello stesso tempo molto importante per me. Vita: Che cosa è cambiato dopo quel viaggio? Cederna: Prima di tutto mi sono reso conto che si può e si deve assolutamente fare qualcosa. C?è una convinzione fondamentale che mi sono portato a casa da quel viaggio: la consapevolezza che la vita umana ha un valore singolo. L?ho capito solo andando là e vedendo gente che stava per morire. Salvare la vita di uno o due ha un significato enorme. Vale la pena lottare per salvare ?quel? bambino, anche se ce ne sono mille altri che continuano a morire. Come attore ho la fortuna di poter parlare spesso alla gente, di farmi sentire per radio, alla televisione e soprattutto attraverso il teatro. La mia vita è sempre quella, contradditoria, di prima, però ho cercato di usare la notorietà per dire che è possibile fare qualcosa. Come dare del proprio tempo e dei propri soldi. Diventare attori. Vita: Come hai conosciuto Amref? Cederna: Attraverso un?amicizia personale, quella con Tommy Simmons, il direttore di Amref Italia. Dopo il successo di Mediterraneo mi chiese di mettere la popolarità che avevo acquisito a servizio dell?associazione, ancora poco nota in Italia. Ho accettato e sono partito per l?Africa. La mia faccia nel video è stata importante. La gente non si fida di te solo perché sei famoso. Deve poterti credere, capire che sei sincero. Credo che il pubblico televisivo sia rimasto colpito non tanto da quello che dicevo, ma da come lo dicevo, dal fatto che ero andato là di persona a vedere. Dopo quel documentario e due anni di spettacoli, ad Amref erano arrivati 430 milioni di lire. Per me è stata una grande soddisfazione. Le emozioni vissute e poi trasmesse si sono trasformate in cose concrete: cibo, macchine e mattoni per migliorare la vita della gente che ho incontrato. Dopo di me Amref ha avuto altri testimonial, da Fabio Fazio a Giobbe Covatta. L?ultima Febbre l?ho messa in scena insieme all?attore Marco Baliani, che sta portando avanti un progetto di teatro di strada nelle periferie di Nairobi, in Kenya. Vita: In dieci anni hai continuato a collaborare con l?associazione. E anche tuo fratello ha deciso di lavorarci a tempo pieno. Non solo testimonial, quindi? Cederna: Sono convinto che si debba assolutamente collaborare con queste ong. Bisogna avere la fortuna di incontrarne una seria. Ce ne sono molte, però bisogna essere curiosi, andare al di la delle sigle, dei numeri, contattarle personalmente, ascoltare chi ci lavora. Non è vero che sono tutte corrotte. Io mi ritengo fortunato ad aver incontrato Amref e condivido l?etica con cui questa ong porta avanti i suoi progetti. Il 95% delle persone che fanno parte di Amref sono africane: tutte le iniziative di sviluppo nascono sul posto e vengono discusse a partire dalla realtà locale. Non si tratta di programmi portati là per far lavorare le industrie italiane, come capita spesso nella cooperazione. È tutto il contrario. Oltre alle cose che fai, è importante il ?come? le fai: il principio di Amref è quello di rendere le comunità autosufficienti: si avviano progetti che poi le persone del posto possono portare avanti da sole. Un pozzo funziona se diventa gestibile da loro, deve quindi innanzitutto essere necessario e comprensibile da loro, non solo tecnicamente ma anche culturalmente. Vita: Cosa consigli a chi si vuole impegnare? Cederna: Portando in giro La febbre, ho ricevuto una risposta molto forte soprattutto da parte dei giovani. A loro vorrei dire che c?è gente che ha bisogno del loro impegno costante e della loro capacità di essere svegli e curiosi. Consiglio di contattare queste organizzazioni, di leggere dei libri che parlano di loro, di chiedere e non fermarsi alle notizie frettolose dei giornali o della televisione. Di usare il più possibile la propria testa. E poi di cominciare a rispondere in maniera attiva al bisogno di giustizia che senti dentro quando cammini per la strada e vedi uno che dorme per terra, o che ti rompe le scatole vendendoti le rose o pulendoti i vetri della macchina. A volte basta fermarsi a pensare che quella persona sta molto peggio di te, che è arrivata in un altro posto dove non ha radici, non ha memoria e vive una vita difficile, disagiata, scomoda. Che questa tua rottura di scatole non è niente in confronto alla sua ?rottura di scatole?. Anche solo guardare con un occhio diverso queste persone nella loro situazione concreta può essere un primo passo. E poi informarsi, leggere dei libri che parlano dell?Africa e dello sviluppo. Andare dove lavorano i volontari delle ong, chiedere un appuntamento, parlarci, sentire di cosa hanno bisogno, leggere i loro bollettini. Vita: Un stile diverso di viaggiare? Cederna: Sì. Innanzitutto non si deve commettere l?errore di portarsi dietro il proprio mondo. Viaggiare vuol dire guardare gli altri con uno sguardo curioso. Farsi sorprendere.


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