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Hiv: il Sacco di Milano “cura” il Sudafica
Durante la conferenza stampa sui gemellaggi dell'ospedale Sacco è stata richiamata l'attenzione sul contagio in Lombardia
di Redazione
«In Lombardia, secondo le stime di uno studio europeo, ci sono almeno tra le 10 e le 15mila persone che potrebbero essere state contagiate dal virus HIV e non lo sanno». Il dottor Paolo Bonfanti, dell’Unità operativa di Infettivologia, in occasione della conferenza stampa tenuta oggi per descrivere i percorsi di gemellaggio attivi nell’Ospedale Sacco, richiama alla massima attenzione sulla diffusione del virus nel nostro Paese. «In Italia sono in troppi a pensare che non ci si ammali più – spiega – e intanto l’Aids si diffonde anche tra le fasce di popolazione dei cosiddetti “insospettabili” che non si rendono conto di aver contratto la malattia finché, dopo un periodo che può durare anche mesi, non sorgono i primi sintomi». Ma se lo scenario nazionale desta preoccupazioni, esistono Paesi del mondo in cui la situazione assume contorni drammatici: il Sudafrica, da questo punto di vista, rappresenta il triste capofila.
Si calcola che nel Paese africano ci siano oltre 6 milioni di persone affette da questo Virus che colpisce circa il 20% della popolazione sessualmente attiva (quella compresa nella fascia 15-49 anni). Per questo motivo il Sacco, il cui reparto di Infettivologia rappresenta uno dei fiori all’occhiello della sanità lombarda e nazionale, ha deciso di attivare un gemellaggio con l’ospedale di Johannesburg con il supporto di Regione Lombardia che ha messo a disposizione i fondi necessari. Il progetto, partito nel 2009, proseguirà fino al prossimo anno. Una delegazione dell’ospedale africano composta da giovani studenti di Medicina e dal direttore sanitario, la dottoressa Mamorena Mfokeng era presente oggi a Milano.
Gli obiettivi del progetto sono molteplici, come spiega Bonfanti, responsabile del progetto: «Intendiamo promuovere ed elevare i servizi di cura dell’ospedale di Johannesburg nei confronti dei malati Hiv, giungendo alla creazione di un ambulatorio dedicato alla diagnosi e al monitoraggio oltre che al trattamento delle reazioni avverse delle terapie antiretrovirali. In Sudafrica infatti l’enorme numero di ammalati e la scarsità di risorse non permettono di affrontare il male con le terapie utilizzate in Italia. Si ricorre a un mix di farmaci che ha forti effetti collaterali sui quali cerchiamo di insegnare a intervenire nel modo migliore». Ma, al di là della scarsità di risorse, per quale motivo il Sudafrica vive una situazione più grave di altri Paesi africani? «Le cause sono diverse e complesse – prosegue Bonfanti -. Una, forse, su tutte: l’Aids è ormai un’epidemia a trasmissione eterosessuale, ma per anni (almeno fino al 2003) in Sudafrica è stata sostenuta la teoria del biologo americano Peter Duesberg secondo cui non sia l’Hiv a provocare l’Aids ma, nei Paesi in via di sviluppo, la malattia sia ascrivibile a malnutrizione e mancanza d’igiene. Le conseguenze sono ora sotto gli occhi di tutti».
«Speriamo che il nostro gesto di solidarietà e amicizia nei confronti del Sudafrica faccia proseliti – sottolinea il direttore generale dell’Ospedale Sacco Alberto Scanni –. Capitalizzando al meglio il nostro patrimonio di conoscenze e tecnologie all’avanguardia, e con il supporto finanziario della Regione, stiamo cercando di regalare speranza a una popolazione così duramente colpita dall’Hiv. Siamo convinti che per garantire una sanità migliore a livello globale sia doveroso estendere il concetto di “Rete”, ormai da tempo radicato nella cultura lombarda. Attraverso questo gemellaggio cerchiamo inoltre di rendere concreto il concetto di sussidiarietà. Aiutare i più deboli, stando loro vicino, significa riportare il nostro ospedale allo spirito che c’è stato all’origine della sua fondazione nel 1931. Proprio per questo motivo quello con Johannesburg non è il nostro unico gemellaggio: siamo attivi con l’Ikonda consolata hospital in Tanzania, progetto seguito dal professor Massimo Galli; con l’ospedale St. Joseph in Uganda, seguito dal dottor Andrea Rizzi e con la Fundacion centro San Rafael dei ayuda a la vida in Paraguay, coordinato dalla dottoressa Elena Piazza».
Tornando alla situazione italiana, Bonfanti invita a non abbassare la guardia: «L’Aids è una malattia che ormai non fa più distinzioni – spiega –, colpisce tutte le fasce d’età e le classi sociali. Al Sacco abbiamo in cura diversi giovani sotto i trent’anni. Nella nostra Regione sono in tutto circa 40mila le persone seguite, qui da noi o negli altri centri specializzati. Ma è molto probabile che a questo dato che riguarda “l’emerso” se ne affianchi un altro che riguarda “il sommerso” stimabile intorno al 25% del numero ufficiale. Quindi, per ogni quattro persone che hanno la consapevolezza di aver contratto il virus e si stanno curando, ce n’è una ancora ignara della sua situazione che può a sua volta essere veicolo di trasmissione».
Per far fronte a questa situazione la via è una sola: «Si deve diffondere il ricorso ai test – spiega lo specialista del Sacco –. Al momento è necessario il consenso informato per procedere al controllo ematico sulla presenza del virus, quest’analisi dovrebbe invece diventare routinaria ed essere effettuata ogni qualvolta si proceda all’esame del sangue. Conoscere il prima possibile l’eventuale presenza del virus limiterebbe i contagi e permetterebbe ai malati di accedere alle terapie prima che insorgano i sintomi».
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