Malattie infettive
Hiv: donne più fragili, serve più attenzione
Il virus agisce in modo diverso sull'organismo femminile, con più infarti, una maggior attivazione immunitaria, più rapido decadimento cognitivo, fragilità ossea e debolezza muscolare. Eppure, le donne sono ancora solo il 20% dei partecipanti agli studi clinici
La presenza insufficiente delle donne negli studi clinici ha pesanti conseguenze di salute come è facilmente intuibile se si pensa che, grosso modo, il 53% della popolazione italiana, il genere femminile, assumerà farmaci la cui sicurezza ed efficacia è stata studiata sull’altro genere. Tra i due generi sono diversi molti meccanismi patologici, i sintomi, la progressione e la gravità delle malattie, l’efficacia dei trattamenti e gli effetti collaterali. Anche la prevenzione è diversa. Come è realizzabile la medicina personalizzata e gli interventi adeguati al singolo individuo e addirittura al suo dna, se differenze come quelle tra uomo e donna non vengono adeguatamente considerate e l’approccio genere-specifico in medicina è ancora così lontano dall’essere realizzato? La sua realizzazione è urgente tanto per un principio di validità scientifica quanto per una ragione di equo accesso all’innovazione terapeutica, quella studiata nei trial.
Questo è uno dei temi di cui si parlerà oggi, 22 aprile, giornata nazionale della salute della donna. Un esempio di maggior fragilità delle donne è l’Hiv, che ancora oggi costituisce un grande problema sanitario, in particolare per il sommerso. «Sono più fragili dal punto di vista immunitario, perché si infettano più facilmente e, in assenza di trattamenti, hanno un maggior rischio di andare incontro all’Aids; dal punto di vista sociale, perché lo stigma nei confronti di una donna HIV positiva è maggiore, anche in Italia e non solo nei Paesi a basso reddito», sottolinea Annamaria Cattelan, direttrice dell’Unità operativa di Malattie Infettive dell’azienda ospedaliera di Padova. «Per questo è importante che la salute delle donne HIV+ venga adeguatamente monitorata e preservata».
Nel 2022, in Italia, sono state effettuate 1.888 nuove diagnosi di infezione da Hiv, di queste 402 erano donne (21,3%): 116 avevano un’età uguale o maggiore a 50 anni, 209 erano tra 30 e 49 anni, e 71 fra 20 e 29 anni. In Italia il 58,1% delle nuove diagnosi di Hiv sono tardive, di queste il 42% già in Aids, un numero molto più alto della media europea, e aumenta anche l’età media alla diagnosi.
Nella popolazione femminile, l’infezione porta a un’accelerazione dell’invecchiamento che espone a un rischio aumentato di fratture e di indebolimento della muscolatura: «L’infezione da Hiv è responsabile di un’accelerazione del processo di invecchiamento legato allo stato infiammatorio cronico sia nell’uomo sia nella donna, ma con accenti diversi. Per esempio, abbiamo una prevalenza di infarto del miocardio più alta tra le donne Hiv+ non solo rispetto alle donne Hiv negative, ma anche agli uomini Hiv+. Poi ci sono dati che mostrano un’attivazione del sistema immunitario estremamente più elevata nelle donne con Hiv rispetto agli uomini. Nelle donne riscontriamo maggior deterioramento cognitivo, depressione, ansia, disturbi da stress post-traumatico, condizioni che a loro volta sono influenzate e peggiorate da altri cofattori quali l’abuso di alcol, sostanze stupefacenti o l’utilizzo di farmaci psichiatrici», spiega Cattelan. «Particolare attenzione va data infine alla salute delle ossa, che già dopo la menopausa è messa a repentaglio e che l’azione di alcuni farmaci può peggiorare».
Proprio l’attivismo dei malati di Aids e dei sieropositivi negli Stati Uniti degli Anni Ottanta ha spinto contro lo stigma, che ancora oggi colpisce duramente queste persone, ma soprattutto per la partecipazione dei pazienti agli studi, senza escludere nessuno, persone tossicodipendenti e donne in età fertile inclusi. Alla luce di tutto questo, colpisce che le sperimentazioni cliniche in quest’ambito vedano solo un 20% di donne, in linea con gli altri ambiti della ricerca biomedica.
In attesa dell’inserimento negli studi clinici di un certo numero di donne, obbligatorio nei National Institute of Health americani solo dal 1993, per porre rimedio si cerca di analizzare i dati già raccolti, ad esempio conducendo analisi per sottogruppi, guardando specificatamente alla popolazione femminile coinvolta negli studi. Lo si è fatto per la combinazione bictegravir/emtricitabina/tenofovir alafenamide (B/F/TAF), confermandone la tollerabilità ed efficacia in tutte le fasce d’età, oppure uno studio relativo allo switch verso questa tripletta, efficace nel migliorare lo stato immunitario delle donne.
La sfida non è conclusa, l’Hiv è ancora presente e minaccioso, non bisogna abbassare la guardia ma fare prevenzione, parlare di sesso e di comportamenti a rischio e normalizzare l’esecuzione dei test, dicono gli infettivologi preoccupati per quei 15mila italiani che hanno il virus senza saperlo e quindi possono favorirne la diffusione.
Foto del National Cancer Institute su Unsplash: il virus dell’Hiv (in giallo) che infetta una cellula
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