Adolescenti

Hikikomori, non è tutta colpa dei videgiochi

In Italia sono oltre 60mila i ragazzi che vivono una condizione di ritiro sociale. Affermano di stare bene da soli, «ma stanno solo meglio rispetto a prima». In dialogo con Giulia Tomasi, referente per l’ambito dei ritiri sociali di Ama di Trento, che ha appena pubblicato una "Piccola guida per genitori"

di Rossana Certini

Tra gli studenti italiani, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, ci sono oltre 60mila hikikomori, ragazzi che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi. Un ritiro che è spesso una forma di difesa. Per questo è importante trasmettere loro un messaggio chiaro: chiudersi in casa, evitare la scuola o gli impegni, sottrarsi alle relazioni non è una vera soluzione: è solo una tregua momentanea al dolore.

«Questi ragazzi dicono spesso di star bene da soli. Ma noi adulti abbiamo il compito di spiegargli che stanno solo meglio rispetto a prima, ma che questa condizione di ritiro non vuol dire stare bene». A dirlo è la psicologa-psicoterapeuta, Giulia Tomasi, referente per l’ambito ritiri sociali dell’associazione Auto mutuo aiuto – Ama di Trento che ha da poco pubblicato una piccola guida per i genitori per offrire informazioni e strumenti utili per comprendere e affrontare il problema.

«Ama si occupa di questo fenomeno da circa dieci anni», prosegue Tomasi, «da quando si è rivolta al nostro centro una famiglia perché loro figlia, tredicenne, aveva smesso di andare a scuola, di uscire di casa e loro non sapevano cosa fare. In quegli anni, all’interno dell’associazione, mi occupavo delle dipendenze da gioco d’azzardo e da videogiochi e studiavo il legame tra queste dipendenze e il ritiro sociale. È così che proposi di organizzare una serie di incontri di lancio per formare un gruppo di auto mutuo ascolto sul tema del ritiro sociale, pensando che se una famiglia si era rivolta a noi magari, sul territorio, ce n’erano anche altre potevano vivere situazioni simili ma non lo dicevano. Oggi posso dire che in dieci anni il fenomeno non è diminuito sul territorio di Trento. Anzi, nel prossimo mese di maggio partirà il nostro quarto gruppo di supporto per genitori con figli in fase di ritiro sociale. E solo nell’ultimo anno e mezzo oltre 50 nuove famiglie si sono rivolte a noi per una consulenza».

Ogni epoca ha le sue forme di sofferenza. Ieri erano l’abuso di eroina e le fughe da casa. Oggi ci sono i videogiochi e i ritiri sociali

Giulia Tomasi, referente ritiri sociali Ama di Trento

Il fenomeno del ritiro sociale si manifesta tendenzialmente all’inizio delle superiori, quindi tra ragazzi che hanno un’età compresa fra i 14 e i 20 anni. Ma come spiega la dottoressa, «all’Ama abbiamo anche un gruppo di genitori che ha figli adulti, quindi persone che si sono ritirate dieci o vent’anni fa quando non si parlava ancora di ritiro sociale e quindi non si affrontavano le cause».

Partiamo dalle cause del ritiro sociale. L’uso eccessivo di videogiochi può essere la ragione del ritiro sociale?

Trascorrere molte ore davanti ai videogiochi può sembrare un segnale di ritiro sociale, ma non è detto che ne sia la causa. Spesso i genitori si rivolgono a noi convinti che il problema siano proprio i videogiochi, mentre in realtà sono l’effetto non la causa. Ritiro sociale e abuso di videogiochi sono due fenomeni che si accompagnano. Paradossalmente, il videogioco rappresenta spesso un tentativo di soluzione del problema da parte del ragazzo. In quel contesto virtuale, infatti, riesce a fare ciò che nella realtà gli risulta difficile: instaurare relazioni, interagire con gli altri, sentirsi parte di un gruppo. Per questo motivo sconsigliamo fortemente ai genitori di eliminarli bruscamente da un giorno all’altro. All’interno del videogioco il ragazzo vive esperienze sociali che, se ben comprese e accompagnate, possono diventare una risorsa per aiutarlo a uscire dal ritiro. In realtà noi parliamo di ritiri sociali, al plurale. Perché ogni caso porta con sé una forte componente di soggettività: ogni ragazzo o ragazza vive questa esperienza in modo diverso.

Spesso i genitori si rivolgono a noi convinti che il problema siano i videogiochi, mentre in realtà questi sono l’effetto non la causa. Paradossalmente, il videogioco rappresenta spesso un tentativo di soluzione del problema da parte del ragazzo

In questa pluralità di modalità di ritiri sociali, ci sono dei comuni denominatori?

Diciamo che tendiamo a riscontrare alcuni elementi ricorrenti, che possiamo considerare dei veri e propri fattori di rischio. Tra questi una marcata rigidità di pensiero e una visione dicotomica del mondo in cui esiste solo il giusto o lo sbagliato, senza spazio per il compromesso. Spesso si tratta di ragazzi che faticano a stare nei gruppi allargati, preferendo relazioni più strette, individuali. Non a caso il fenomeno si presenta proprio durante l’adolescenza, fase in cui il confronto con l’altro e la capacità di mediazione diventano fondamentali. Il ritiro sociale può assumere la forma di una strategia di protezione.

Dunque come possiamo aiutare i ragazzi a uscire da questa situazione di isolamento?

I nostri gruppi di auto mutuo aiuto non sono rivolti ai ragazzi. È importante lavorare con i genitori per aiutare i ragazzi. Viviamo in una società complessa e molto diversa da quella di cinquanta anni fa che era prevalentemente normativa. Il genitore dava le regole e il figlio le seguiva senza nessuna possibilità di confronto. Oggi quel modello non esiste più. Ma attenzione: questo non significa che i genitori di oggi sono assenti o permissivi. Anzi, ci provano in tutti i modi a mettere regole. Non si può dire che non vedano o che acconsentano passivamente.

Quando cambia la società, cambia anche il modo in cui le persone stanno male. È fondamentale capirlo, per togliere lo stigma che il fenomeno degli hikikomori mette sui genitori che vengono giudicati come se fossero deboli, assenti e accondiscendenti

Un duro compito quello dei genitori…

Ogni epoca ha le sue forme di sofferenza. Ieri erano l’abuso di eroina e le fughe da casa. Oggi ci sono i videogiochi e i ritiri sociali. Non si tratta di meglio o peggio, si tratta di diverso. Quando cambia la società, cambia anche il modo in cui le persone stanno male. Ed è fondamentale capirlo, per togliere lo stigma che il fenomeno degli hikikomori mette sui genitori che vengono giudicati come se fossero deboli, assenti e accondiscendenti. Ma vi assicuro: tutti i genitori che ho incontrato ci hanno provato a spegnere il modem, spalancare le finestre e togliere le coperte. Hanno tentato tutto. Solo che oggi quelle strategie non funzionano più. Ovviamente ogni situazione è diversa: se un ragazzo è già in una fase avanzata di ritiro chiuso in camera, sveglio di notte e dormiente di giorno, scollegato dalla realtà esterna, è chiaro che serve un accompagnamento strutturato, sia per lui che per la famiglia. Ma se riusciamo a intercettare i segnali precoci un mal di testa, un mal di pancia, qualche assenza, è più facile intervenire e aiutarli prima che il ritiro diventi totale.

Il vero compito educativo è accompagnare i ragazzi nell’affrontare le difficoltà, trasmettere l’idea che ce la possono fare, che hanno le risorse per farlo

Ci spiega meglio come l’ambiente sociale può portare alcuni ragazzi al ritiro sociale?

Viviamo in una società ipercompetitiva, che ci spinge costantemente verso la prestazione e il fare, lasciando poco spazio all’essere. In questo contesto si innesta un altro nodo importante: la nostra società, e spesso anche noi adulti, abbiamo paura del dolore. E così, quando vediamo un figlio o una figlia soffrire, scatta in noi un impulso protettivo. È un atteggiamento naturale e legittimo quando parliamo di un bambino piccolo, ma diventa più complesso quando si tratta di un adolescente o di un giovane adulto. Molti genitori, nel tentativo di proteggere, finiscono per sostituirsi ai figli: cercano soluzioni al posto loro, spostando il focus fuori da loro stessi, sui compagni, sulla scuola, sulla società. Ma il vero compito educativo è accompagnare i ragazzi nell’affrontare le difficoltà, trasmettere l’idea che ce la possono fare, che hanno le risorse per farlo.

Possiamo dire che per aiutare questi ragazzi è importante ripensare a cosa significa diventare adulti oggi?

Vent’anni fa, diventare adulti significava trovare un lavoro, uscire di casa, costruire una famiglia. Oggi diventare grandi significa rispondere alla domanda: “Chi sei?”. E questa domanda risuona maggiormente quando ci si confronta con i propri pari. Per questo è importante aiutare i genitori a passare da una modalità di protezione e risoluzione dei problemi del figlio a una di svincolo. I ragazzi devono comprendere che hanno gli strumenti per confrontarsi con il mondo.

Vent’anni fa, diventare adulti significava trovare un lavoro, uscire di casa, costruire una famiglia. Oggi diventare grandi significa rispondere alla domanda: “Chi sei?”

Qundi in conclusione si potrebbe dire che la soluzione non è nella cura ma nella prevenzione?

Sì, il processo dovrebbe cominciare fin da quando sono bambini ma spesso non si dà importanza alla relazione in quell’età perché, da piccoli, i bambini non manifestano un bisogno esplicito di relazione: stanno bene in famiglia, chiacchierano con mamma e papà e tutto sembra a posto. I primi segnali d’allarme arrivano più tardi, alle medie, magari in seconda o terza, quando iniziano a comparire mal di testa, mal di pancia, piccoli dolori senza una causa fisica chiara. Sono somatizzazioni: il corpo inizia a parlare al posto loro. In questi casi, i ragazzi continuano ad andare bene a scuola, prendono otto, nove, dieci, ma iniziano a percepire una distanza con i coetanei. Si accorgono che gli altri hanno un modo diverso di stare insieme, di scherzare, di entrare in relazione. E loro, invece, faticano a inserirsi, a sentirsi parte del gruppo. L’ansia relazionale cresce, ma spesso non riescono a riconoscerla né a raccontarla e si isolano.

Hai bisogno di aiuto? Per maggiori informazioni e per fissare un appuntamento, scrivi a ritirisociali@automutuoaiuto.it o chiama il 342 8210353. Per scaricare gratuitamente la Piccola guida per genitori, clicca qui.

L’immagine di apertura è di MD Duran su Unsplash

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