Famiglia

«Hey, io ci sono»: forme alternative di DAD nei nidi e nelle materne

Le insegnanti e le educatrici di nidi e materne come mantengono le relazioni educative con i bambini? Ancora oggi ogni realtà fa da sé: se vuole, come vuole e quanto vuole. Ci sono insegnanti che si prodigano per mantenere una relazione con i bambini e altre che latitano, perché nessuno ha dato indicazioni. La sensazione è che sull'universo dei più piccoli ci sia poca consapevolezza. E forse anche poco interesse.

di Sabina Pignataro

Era il 9 aprile del 2020 quando il Ministero dell’Istruzione intervenne per decretare l’obbligatorietà della Didattica a Distanza, rispondendo alla perplessità di quei docenti che si rifiutavano di convertire la propria modalità di insegnamento per far fronte all’emergenza legata al Coronavirus.
È passato un anno ed è ormai assodato che alle medie debbano essere garantite almeno 20 ore di DAD alla settimana, mentre alle elementari 15 (solo 10 per gli alunni di prima).

Quello che, ad un anno dall’inizio della pandemia, non è ancora chiaro è quali siano gli strumenti che possono essere messi in campo per la scuola dell’infanzia, la vecchia scuola materna.

Ancora oggi ogni istituto fa da sé.
Se vuole.
Come vuole.
E quanto vuole
.

Ci sono insegnanti di nidi e materne che si prodigano per mantenere una relazione con i bambini, seppure a distanza, per dare un senso alla professione, malgrado le difficoltà di sempre, e gli stravolgimenti imposti dalla Covid-19. E altre che latitano. E che hanno perso il contatto con i bambini dal giorno in cui la scuola ha chiuso.

Dal Ministero nessuna indicazione

Come è possibile questa disparità? È semplice: perché dal Ministero non è arrivata un'indicazione minima o massima di contenuti, interventi, proposte da condividere settimanalmente o giornalmente con i bambini e le famiglie. «Nel caso dei bambini più piccoli per i quali le attività educative si realizzano attraverso momenti di cura, di relazione, di apprendimento, di esplorazione e gioco, la didattica a distanza potrà essere organizzata attraverso semplici forme di contatto a distanza»: così aveva scritto il MIUR nel 2020 (si veda il punto 15). E ancora oggi una forma di Didattica di integrazione o di relazione continua ad essere caldeggiata e sostenuta, ma non è obbligatoria.

Sappiamo bene che il tipo di relazione che si istaura alla materna tra maestra e bambini è fatta di sguardi, di carezze, di parole, di gesti, di voci, di condivisione, tra i bimbi stessi e con l’adulto di riferimento. E riconosciamo che questa relazione speciale, che è anche molto corporea, zoppica e fatica a distanza. Eppure potrebbe comunque essere favorita, attraverso nuove modalità che sono alla portata degli alunni. Certo, richiederebbe un cambio di passo, di mettersi in gioco e di sforzarsi di cercare un modo nuovo, diverso, inedito, di fare scuola. Non tutte le educatrici dei nidi e delle materne sono disposte a farlo. E comunque, a livello contrattuale, non sono tenute a farlo. Ed è un peccato.

“Zero- sei” la fascia più penalizzata

A un anno dall’inizio della pandemia, la fascia zero sei anni è quella più penalizzata. A loro il Governo non ha pensato quando non ha somministrato il vaccino in via prioritaria alle maestre che nell’esercizio della loro attività tengono in braccio e si prendono cura di bimbi smoccolanti e senza mascherina, con tutta la loro carica gioiosa e il loro bisogno di assaporare e toccare il mondo. A loro il Ministero non ha pensato quando non ha fissato nemmeno la cornice minima dentro la quale ogni scuola materna dovesse continuare a svolgere la propria attività.

«Ehy, io ci sono e tu per me sei importante»

La sensazione è che su questo universo legato al mondo del nido e dell’infanzia ci sia poca consapevolezza. E forse anche poco interesse. Sarebbe auspicabile che anche le maestre dei più piccoli fossero messe nelle condizioni di aiutare, sostenere e accompagnare i bambini nel loro percorso di sviluppo personale, infondendo loro curiosità verso le cose della vita e fiducia nelle proprie capacità. Sarebbe bello che anche se a distanza loro non smettessero di dire ai loro bimbi: «Ehy, io ci sono e tu per me sei importante. Non ti ho dimenticato solo perché non ci vediamo da qualche giorno».

Gli esempi

Alcuni esempio virtuosi ci sono: ad esempio, nelle 171 scuole dell'infanzia e 103 nidi gestiti dal Comune di Milano, già dallo scorso anno, durante il primo periodo di chiusura delle scuole, è stata attivata la piattaforma Padlet per mantenere la relazione tra gli educatori e i bambini. «Ovviamente non si tratta di didattica a distanza che sarebbe impossibile per bambini così piccoli – chiariscono dall'assessorato all'Educazione – ma gli educatori producono contenuti che possono essere fruiti in maniera asincrona dai bambini, con l’obiettivo di mantenere appunto la relazione con la sezione». Anche in questo caso comunque, «non c'è un'indicazione minima o massima di contenuti da produrre».

Alcune scuole si stanno appoggiando a Classroom, il servizio web gratuito sviluppato da Google, quello pensato per le scuole e le università che mira a semplificare la distribuzione di materiale didattico. Qui,come su Padlet, per fasi sentire vicine a tutti coloro che nella scuola hanno sempre trovato una valida risorsa, le maestre condividono le proprie proposte e le famiglie ne possono fruire come e quando vogliono, essendo accessibile in ogni momento, assecondando i tempi e la disponibilità di ciascuno.

Purtroppo però molte, moltissime scuole, non hanno attivato nessuna piattaforma. In mancanza di ciò, le maestre si ritrovano a condividere dal proprio cellulare personale e verso le chat di classe su whatsApp, foto e video che le ritraggono in momenti di gioco, canto o mentre “dialogano” a distanza con i bambini più piccoli. Sottoponendo se stesse e i minori a dai seri rischi legati alla tutela della propria privacy.

Il nodo degli stipendi

Nel febbraio 2020, quando alcune regioni avevano iniziato a chiudere le scuole per il coronavirus, l’ex ministra Lucia Azzolina aveva promesso che gli insegnanti non avrebbero avuto una trattenuta sullo stipendio: «Non sono a casa per malattia ma per causa di forza maggiore […] È come se fossero andati a scuola normalmente». Oltre ai docenti della scuola dell’obbligo, anche le insegnanti comunali di nido e materna (così come le bidelle) hanno continuato a percepire lo stesso stipendio di sempre (che è tra i più bassi dell’Europa), nonostante le scuole fossero chiuse e loro non fossero tenute a svolgere nessuna attività, se non quella (fondamentale) di formazione e aggiornamento. Come del resto è accaduto e accade per tutti i dipendenti comunali e statali, indipendentemente dall’area di competenza.

Questa garanzia è rimasta immutata anche in occasione di questo anno scolastico. Le educatrici dei nidi comunali e statali continuano a percepire il 100% del loro stipendio anche quando le strutture sono chiuse in ottemperanza ai dpcm. Mentre nella stragrande maggioranza dei nidi e delle materne private il personale è in FIS, il Fondo di integrazione salariale che può scendere fino al 50% della retribuzione globale.

È drammatico che, ancora una volta, alle insegnanti di nido e materna non venga richiesto nessuno sforzo per mantenere un legame con le bambine e i bambini che compongono il loro gruppo classe.

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