Cultura

Hebron. Guerra civile nella casa di Abramo

Le stelle di David tracciate sulle imposte delle case del centro esprimono un concetto: “Proprietà d’Israele”.

di Gianluca Iazzolino

Il colpo d?occhio spiazza: stelle di David tracciate col gesso su imposte serrate, uomini in nero che scivolano via con mitragliatori M16 a tracolla, militari in marcia nella strada deserta. Ma è quella stella che dà la vertigine: spinge indietro di mezzo secolo, in un passato che sembra riproporsi nella forma ma ribaltato nella sostanza. Qui significa: ?Proprietà d?Israele?. Di quell?Israele che regge la Torah in una mano e la spada nell?altra. Un checkpoint separa il vocìo del mercato dal silenzio di Tel Rumeida, il cuore di Hebron, o Al Khalil, come la chiamano gli arabi. Entrambi i nomi hanno una radice che rimanda allo stesso concetto: amicizia. Ma qui a Hebron ci sono sempre due strade per arrivare agli stessi punti, strade costellate di metal detector e guardie armate. Prendiamo il Machpela (per gli arabi, la Moschea di Ibrahim). Doppio ingresso, percorsi separati, una sinagoga da una parte, una moschea dall?altra, per arrivare finalmente a due finestrelle, opposte. Al centro, un sarcofago coperto da un drappo. Alle due aperture fanno capolino visi dai tratti simili ma incorniciati in un caso da una kefiah, da una kippah nell?altro. Il sarcofago è quello di Abramo, il padre delle tre religioni monoteistiche. Lo stesso simbolo, guardato da due angolazioni. Simbolo per ebrei e Islam Hebron è un caso unico nel conflitto arabo-israeliano e, al pari di Gerusalemme, riassume tutti i paradossi della questione palestinese. Ospitando le tombe dei Patriarchi, è un luogo dall?enorme valore simbolico per l?ebraismo e per l?Islam, ed è l?unica città della Cisgiordania a presentare al suo interno colonie ebraiche. Per le associazioni filopalestinesi israeliane e internazionali si tratta dei coloni più violenti, ultraortodossi e devoti alla figura di Meir Kahane, un rabbino estremista fondatore del partito Kach, dichiarato illegale dallo stesso Stato d?Israele perché istigatore alla violenza contro gli arabi. I coloni sono circa 400, armati e protetti da un migliaio di soldati. Secondo i volontari internazionali, tuttavia, sono i palestinesi ad aver bisogno di protezione. «Le violenze contro le famiglie arabe sono all?ordine del giorno», dice Abigail, un?attivista del Cpt – Christian Peacemaker Team, organizzazione statunitense per i diritti umani. «I palestinesi hanno le inferriate alle finestre perché erano puntualmente prese a sassate dai coloni. I soldati dovrebbero intervenire, ma si limitano a raccogliere a voce le denunce». Idris, un macellaio che vive con i quattro figli nella zona alta di Tel Rumeida, mostra la bocca senza denti. «La mia vicina israeliana è entrata nella mia casa e mi ha colpito più volte con un bastone, accusandomi di occupare la sua terra», dice. «Quando sono arrivati i soldati hanno portato via uno dei miei ragazzi dicendo che l?aveva provocata». I membri del Cpt, ben riconoscibili dal berretto rosso, sono impegnati soprattutto nello ?school patrolling?, ovvero nell?accompagnamento dei bambini palestinesi che escono da scuola e che vengono aggrediti dai figli dei coloni. A scuola con l??effetto nonna? «Li aspettano all?uscita, sotto gli occhi dei genitori che li istigano perché sono minorenni e non possono essere arrestati», dice Janet, una volontaria scozzese. «I soldati si limitano ad allontanarli, e solo perché ci siamo noi». Lo chiamiamo ?effetto nonna?, ovvero: come ti comporteresti se tua nonna ti guardasse?. Lei, una nonna lo è davvero: settant?anni, già attiva nel 2005 a Bagdad, si è sentita dare della nazista. «Siamo tacciati di antisemitismo se ci mettiamo in mezzo. Ma molti arabi, esasperati, stanno lasciando la città vecchia». Sono solo un centinaio le famiglie palestinesi rimaste in quella che un tempo era la parte più viva della città. La rabbia dei soldati Shuleila Street è una strada fantasma, mentre il bazaar di Old Shuleila, all?esterno del perimetro chiuso dal checkpoint, è sovrastato da una rete metallica, costellata di sassi, bottiglie e rifiuti. «Sono lanciati dai coloni», dice Fewez, un attivista del Tel Rumeida Project. «La gente ha paura di venire qui a fare la spesa. E il boicottaggio sta uccidendo la città». Il Tel Rumeida Project è nato per far conoscere la situazione di Hebron ed è parte di una rete di organizzazioni pacifiste israeliane e internazionali. Eram è un attivista di Sons of Abraham, un?associazione israeliana che organizza tour nella parte palestinese di Hebron «per far capire cosa significa vivere sotto assedio», dice. «Nel nome della sicurezza, l?esercito impone il coprifuoco a tutti gli arabi quando i coloni hanno delle celebrazioni. La maggior parte degli israeliani non ne sa nulla, ma questi coloni sono un pericolo, per i palestinesi e per lo stesso Stato di Israele». Anche molti soldati, ragazzi con l?evidente voglia di stare altrove, non vedono di buon occhio i coloni. «Si scagliano contro di noi quando interveniamo», dice Doron. I soldati occupano in effetti una zona grigia all?interno del conflitto. Quasi tutti entrano per la prima volta nei Territori occupati, e lo fanno con M16 e giacca antiproiettile. Nella sinagoga del Machpela, quei pochi coloni che accettano di parlare lo dicono subito: «È impossibile capire la situazione di oggi senza conoscere i fatti di quella data». Fatti troppo spesso ignorati, o sottovalutati, anche dai volontari internazionali. Fino al 1929, infatti, la comunità ebraica coesisteva con quella araba all?interno di una Palestina sotto il mandato britannico. Cinquemila anni di storia Hebron è una delle città più antiche del mondo ed è stata la prima capitale del regno d?Israele. Il Machpela, il cui nucleo più antico ha ben 5mila anni, è stato una chiesa durante la dominazione bizantina e, con l?invasione dei Mamelucchi, settecento anni fa, è diventato una moschea. Gli ebrei comprarono terre e case nella città vecchia, ma non potevano accedere al santuario. All?inizio del Novecento, la convivenza cominciò a deteriorarsi, a causa della campagna antisemita del Mufti di Gerusalemme Haji Amin Al-Hussein che scatenò pogrom in tutta la Palestina. Il più violento esplose proprio a Hebron tra il 23 e il 24 agosto del 1929. Ottantanove ebrei furono massacrati, i superstiti evacuati dagli inglesi Le colonie sono l?avanguardia di un Israele che, dopo la guerra dei Sei giorni e quella dello Yom Kippur, considera prezioso ogni centimetro messo tra sé e i suoi nemici. Hebron era stata occupata (o ?liberata?) nel 1967, e i primi coloni avevano occupato un albergo nella città vecchia. Per la prima volta da settecento anni, gli ebrei poterono mettere piedi nella Machpela. La presenza dei coloni sta radicalizzando le posizioni degli abitanti di Hebron, che oggi è una roccaforte di Hamas. La sequenza di azioni e reazioni sta creando un groviglio difficile da gestire, e la situazione appare in stallo, e a un passo dal conflitto aperto. Il vino dei Patriarchi Sono perciò sorprendenti le parole di Michel Murciano, un colono di Kyriat Arba. «è da qui che scaturirà la pace universale. Non so ancora come, ma sono sicuro che avverrà. Abramo è stato la sorgente una volta e lo sarà ancora». Non è difficile considerare Michel un matto. Del resto questo pubblicitario parigino nato in Marocco ha deciso di trasferirsi proprio qui, in zona di guerra, per produrre il suo vino. Hebron è sempre stata famosa per le sue viti e il vino di Michel, rigorosamente kosher – ovvero lavorato unicamente da religiosi – non è soltanto un ottimo cabernet. «è il vino dei patriarchi. è il frutto di questa terra». Kyriat Arba è considerata una delle colonie più aggressive ma lui afferma che, in realtà, quello dei coloni non è un monolite. E che, soprattutto, la presenza ebraica a Hebron non può essere stabilita da accordi internazionali. «Anche se siamo oltre la Linea verde, noi ebrei abbiamo diritto di stare qui, ma così come lo hanno gli arabi. Nessuno può chiedere a noi figli di Abramo di andare via e noi non possiamo chiederlo a chi è stato qui per tanti secoli. Sono certo che l?energia del Machpela libererà presto questo luogo dalla violenza». Per il momento, tuttavia, bastano quelle stelle di David a ricordare come Hebron, oggi, sia ancora prigioniera del passato.

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