Mondo

Hanoi: “Qui si vive lo choc da isolamento”

Patrizia Fracassi, cooperante Cesvi presso la capitale vietnamita, racconta come il Paese sta vivendo l'emergenza legata alla Sars.

di Benedetta Verrini

“Ritornerò ad Hanoi il 9 maggio. Francamente, non avverto una vera situazione di emergenza, almeno in Vietnam. E poi, questo della Sars non è un problema che passa in una settimana e noi non possiamo starcene qui, ad aspettare con le mani in mano”. Patrizia Fracassi ha 28 anni ed è l?unica cooperante Cesvi nella capitale vietnamita. Dopo una piccola vacanza in Italia, tra pochi giorni salirà su un aereo che va nel senso opposto al flusso di occidentali in fuga dall?Estremo Oriente. “è proprio l?isolamento il male peggiore che stanno vivendo là”, prosegue Patrizia, raccontando di un?amica che lavora presso la grande catena dei Melia Hotels, angosciata per il crollo di prenotazioni e per la cancellazione di tante conferenze internazionali. “L?anormalità non si vive per il terrore del contagio, che in Vietnam appare contenuto, ma per la scomparsa dei turisti, che prima affollavano Hanoi e Saigon, e per la paventata chiusura delle frontiere con la Cina e Hong Kong”. Di fronte a 65 contagiati accertati e 5 morti (tra cui anche il medico italiano Carlo Urbani), il governo vietnamita ha adottato misure estremamente drastiche per contenere i nuovi contagi: l?ospedale francese, dove si è verificato il primo caso, è stato isolato. “I medici sono obbligati ad effettuare le visite direttamente a domicilio, per evitare che persone con sintomi sospetti si muovano da sole in città”, spiega la cooperante Cesvi. “Attualmente, a parte queste misure, la situazione non è di emergenza. La gente girava già con la mascherina, a causa dello smog. E continua ad affollare locali e ristoranti”. Patrizia collabora con l?Hanoi Health Service (una sorta di Asl vietnamita) per la sensibilizzazione delle giovani madri contro la malnutrizione infantile. Si tratta di spostarsi in 5 diversi distretti della capitale e incontrare le famiglie nei villaggi e nei centri suburbani per educare le madri e distribuire kit di integratori e vitamine. Un lavoro in continuo contatto con le persone, insomma. “Se ci fosse una vera emergenza, come ad Hong Kong, è logico che indosserei la mascherina: non mi espongo a rischi inutili”, dice. “Ma indossarla ora darebbe il segno di un allarme che non sussiste”. Per lei, che in Vietnam lavora da due anni, le vere emergenze restano altre: “La fame e l?Aids. Per diffusione e morti, restano le vere piaghe del nostro tempo”.


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