Non profit

Haiti, i Grandi litigano in aeroporto

Intanto continua il lavoro dei volontari e delle ong

di Franco Bomprezzi

Allarmanti le cronache di oggi da Haiti, che danno conto della confusione e della disorganizzazione degli aiuti alla popolazione colpita dal terremoto. Una settimana dopo il sisma le grandi potenze litigano sull’uso dell’aeroporto e delle strade, mentre le ong e i volontari continuano ad arrangiarsi, e di notte scatta il coprifuoco.

“Haiti, angoscia per cento scolari. Lite Francia-America sugli aiuti”, è questa l’apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi. Il focus sugli aiuti occupa per intero la pag 5. In particolare il giornale mette in evidenza fin dalla titolazione le proteste di francesi e brasiliani che se la sono presa con gli americani accusati di rallentare l’arrivo di materiale e la logistica di Haiti che ha un solo aeroporto con un’unica pista, mentre i moli del porto sono inutilizzabili, manca la benzina e le strade sono impraticabili. Il pezzo è firmato da Guido Olimpio: «Gli americani l’hanno battezzata «Operazione risposta unita». Un bel nome in codice, lontano però dalla realtà. Perché l’unità ad Haiti è rimasta, per ora, negli intenti. Lo testimoniano le parole di René Préval, presidente di uno Stato che non esiste più: basta litigi sugli aiuti. Un appello necessario dopo risse campanilistiche tra quanti, con generosità, partecipano ai soccorsi. Francesi e brasiliani hanno protestato contro gli americani, accusati di rallentare l’afflusso del materiale. «Tutti vogliono che sia il loro aereo ad atterrare — ha detto ieri il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner —, ma quel che conta è solo il destino degli haitiani». Medici senza frontiere e organizzazioni non governative hanno denunciato la mancanza di coordinamento. Il venezuelano Chavez e il cubano Fidel Castro l’hanno buttata in politica gridando slogan sulla «occupazione Usa di Haiti» e la «vergogna della nostra era». Senza dimenticare la corsa ad attribuire a questo o a quel team il merito di aver salvato una vita. Il giusto riconoscimento che ha rischiato di trasformarsi in una sorta di Olimpiade della protezione civile». Continua Olimpio: «Il primo ostacolo è nella gestione. Come ha osservato il responsabile della Protezione civile italiana Guido Bertolaso, manca una leadership forte che coordini». E ancora: «Insieme alla leadership unificata sarebbe necessario un approccio comune. Le organizzazioni civili hanno come obiettivi immediati: recuperare chi è ancora sotto le macerie, curare i sopravvissuti, infine l’assistenza. Ma ad Haiti è stato l’apparato militare a dettare le mosse, se non altro perché controlla i corridoi d’accesso. Per questo ha dato la precedenza alla creazione di una base — in sicurezza — e alla logistica per i propri uomini. Quindi i soldati entreranno nella fase operativa. Passi dettati da un pericolo obiettivo di violenze — in crescita tra le rovine  — e dal manuale». Poi c’è la questione logistica: «Il secondo ostacolo — enorme — è rappresentato dal teatro. Haiti dispone di un solo aeroporto con un’unica pista, a gestirlo un team delle forze speciali americane. Uno scalo senza lo spazio sufficiente per ospitare dozzine di velivoli e, soprattutto, con scorte di carburante scarse. Alle ridotte capacità si aggiunge la mancanza di mezzi di trasporto: non ci sono camion sufficienti sui quali caricare i pacchi di cibo e acqua da distribuire tra gli scampati. Non solo. Esistono poche strade praticabili e ciò allunga i tempi di intervento. Per liberarle ci vogliono le scavatrici ma per averle in numero adeguato bisogna attendere che arrivino via nave».

LA REPUBBLICA dedica l’apertura al post-terremoto: “Haiti, la strage dei bambini cento sepolti nella scuola”. Mentre arriva la notizia della seconda vittima italiana, Guido Galli, funzionario dell’Onu, si fa strada l’ipotesi che 100 scolari di Leogane, un centro a 15 km dalla capitale, possano essere sepolti sotto le macerie. Ancora cronaca dell’orrore da Haiti: la popolazione sempre più allo stremo, gli ospedali (pochissimi) che continuano ad amputare arti incancreniti; i turisti inglesi la cui nave da crociera si ferma sulle coste haitiane per un picnic… Intanto però la Ue stanzia 420 milioni e l’Italia fa partire la portaerei Cavour (a bordo 550 uomini, un ospedale e macchinari per avviare la ricostruzione: farà prima tappa in Brasile per imbarcare personale medico e  militari brasiliani). Prendono nel frattempo sempre più consistenza le polemiche: “Soccorsi fermi all’aeroporto. Port-au-Prince muore di sete” è il titolo del reportage di Angelo Aquaro: il problema della distribuzione cresce; tre km di viveri sono ancora all’aeroporto, mentre comincia il mercato nero, dove spuntano la Coca cola e altre cibarie. La macchina organizzativa degli Usa gira a vuoto, insomma, mentre qualche ufficiale afferma: «non possiamo distribuire a caso. Bisogna assicurare la giusta divisione». Problemi anche sul traffico aereo, ormai al 60% civile (il che fa infuriare brasiliani e francesi e ha fatto arrabbiare anche il medico di Msf, Stefano Zannini, che è dovuto andare di persona all’aeroporto perché gli americani per due volte hanno impedito l’atterraggio di un aereo carico di materiale sanitario). Federico Rampini parla della «quarta guerra di Obama» e riferisce delle polemiche sull’impegno umanitario: montano negli Usa, ad opera dei repubblicani, le polemiche sull’impegno a lungo termine degli Usa.

IL GIORNALE pone sul tavolo due questioni: “Ma la fame giustifica i saccheggi?” E l’altra “L’adozione è un trauma o un aiuto?” Alla prima  domanda risponde sì Andrea Tornielli che scrive: «Il comandamento più importante è la sopravvivenza. Quel diritto di proprietà privata non è mai assoluto per la dottrina cattolica, ma ha un limite proprio nella destinazione universale dei beni, dato che gli stessi beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano e non soltanto ad alcuni. Nel caso del terremoto ci si trova di fronte a una situazione del tutto eccezionale, una situazione di grave necessità». Carlo Lottieri invece dice No: «Il rispetto del diritto è il primo rimedio contro la catastrofe. La proprietà  è il segno visibile, storicamente delineato giuridicamente definito del fatto che l’uomo merita rispetto. Perfino nelle emergenza del paese caraibico oggi sotto alle macerie quanti si trovano sospesi fra la vita e la morte e per questo si appropriano di ciò che è altrui, al fine di sopravvivere in cuor loro sanno che al più presto dovranno impegnarsi a restituire quanto sottratto. Non  si è duri di cuore quando si chiede che a Haiti si continui  negare la legittimità del furto». La seconda questione riguarda l’adozione dei bambini. Vanno adottati è la posizione sostenuta da Luca Doninelli che scrive: «Prendiamoli con noi. E chi opera sull’isola ci insegni ad aiutarli. Ci sono associazioni anche italiane che da anni lavorano ad Haiti  se si vuole adottare un bambino è meglio passare da loro che forse hanno sviluppato  un conoscenza di quel mondo un po’ superiore di quella che possiamo avere noi, dopo aver letto due pagine sulle macerie che gridano. Fidiamoci di loro, del loro lavoro, della loro esperienza. Superiamo il pregiudizio che circonda il mondo del volontariato (perché questo c’è, eccome fondato qualche volta, del tutto gratuito altre volte) e fidiamoci di chi sa». Parla del rischio dei bimbi in saldo Alessandro Meluzzi che scrive «Molte adozioni internazionali anche quelle realizzate con tutti i crismi della legge, dell’etica e delle buone intenzioni, vanno incontro a esiti disastrosi. Certamente il sentimento di sradicamento e di estraneità fra comunque diversi pesa più della gratitudine e delle buone intenzioni. Questo di fronte alla tragedia di Haiti serve a sottolineare come sia pericoloso dare il via ad una sorta di acquisizione in saldo  di migliaia di bambini sradicati. Questi bambini diventeranno giovanotti e ragazze con aspirazioni, incertezze, nostalgie,  e forse pure risentimenti per un mondo di ricordi è comunque quello delle loro radici».

IL MANIFESTO titola “Aiuto” con sullo sfondo una folla di haitiani con le mani tese. «Due le pagine dedicate al terremoto (2-3). Nel sommario «Ad Haiti manca tutto, compreso il coordinamento per distribuire gli aiuti fermi in aeroporto. Si teme il peggio per 100 bambini intrappolati sotto una scuola a Leogane. Già 70 mila i corpi nelle fosse comuni. L’Onu invia altri 3 mila uomini per fermare i saccheggi e la Ue stanzia 400 mila euro. Intanto tornano le navi da crociera. L’editoriale a firma di Guglielmo Ragozzino riporta alcune inchieste di quotidiani americani (New York Times, The Guardian e The Miami Herald) che raccontano del fenomeno Labadee «un paradiso turistico a 130 chilometri da Port-au-Prince» dove continuano ad attraccare navi da crociera e turisti. In chiusura una dura reprimenda ai due ex presidenti Bush e Clinton, a una non ben identificata plancia di comando degli aiuti e un richiamo al riscaldamento globale. A pagina 2 Stefano Liberti firma “Haiti dimenticata” un bel «viaggio all’interno dell’isola devastata dal sisma. Dalla bidonville di Citè Soleil, all’epicentro Carrefour. Fino a Leogane, dove nessun soccorritore è arrivato». Interessante intervista di Nikos Moise  a Suzy Castor, «moglie di Gerard Pierre-Cherles ministro del primo governo Aristide», che lancia un allarme «c’è un grave pericolo: non vorremmo che gli aiuti diventino il nostro commissariamento». Su questo argomento di spalla a pagina 3 Alberto D’Argenzio spiega la macchina degli aiuti e le polemiche in “Parigi a Obama: aiuti non occupazione. Bertolaso: sì all’Onu”. Il punto nodale dell’articolo riguarda i rapporti tra Francia e Usa. «La Francia mastica amaro per il ruolo rivestito dagli Usa in questa che è stata una colonia di entrambi». Alain Joyandet, segretario di Stato alla cooperazione ha riassunto in un commento tutte le perplessità francesi: «Spero che il ruolo degli Stati Uniti venga definito. Si tratta di aiutare Haiti non di occuparla».  

Interessante editoriale del direttore Gianni Riotta sugli aiuti ad Haiti per il SOLE24ORE, che dedica uno speciale su «come aiutare Haiti» nelle pagine interne. Titolo: “Salviamo Haiti per salvare tutto il mondo”. «Haiti come Copenhagen», è il filo rosso del ragionamento, «il mondo non ha più una guida, è confuso», scrive Riotta. Come nella capitale danese non si è trovata una strategia condivisa sul clima, perché tutti erano contro tutti, ad Haiti «americani, europei, volontari, Onu e gracili autorità locali si scontrano nel tentativo di mettere ordine nella tragedia». Ognuno prova a fare del suo meglio, sia chiaro, ma lì manca tutto e i litigi non aiutano. «Haiti e Copenhagen, capitali di un mondo colmo di buone intenzioni che non sa trovare armonia», continua Riotta. Il fallimento di Copenhagen costerà inquinamento, ma un mondo senza più leader ad Haiti rischia epidemia, violenza, morti. E conclude (un po’ inquietante, ndr): «L’importanza di un governo del pianeta, un leader riconosciuto, un ordine comune, è illustrata dalla tragedia dell’aeroporto di Haiti, nessuno comanda, tutti volano in tondo, i senza tetto crepano: parabola del nostro tempo».

  Reportage da Port au Prince su AVVENIRE, sette giorni dopo. «Stia attento al buio, e non solo per i pericoli che nasconde», è il suggerimento al giornalista. Di notte la città si trasforma in un brulichio di umanità, «una processione verso chissà dove», un camminare pacifico «che crea una sorda solidarietà fra gli abitanti ma che si coagula con la rabbia crescente per una macchina degli aiuti che – al settimo giorno dal sisma ormai lo possiamo dire – non ha funzionato per niente». Appoggio in loco, per AVVENIRE, è padre Gianfranco Lovera, direttore dell’ospedale Saint Camille, solo insieme a una suora a fronteggiare l’emergenza, con 200 feriti sistemati alla meglio nei locali del seminario, dopo che i medici cileni che lavoravano con lui sono stati richiamati in patria dalla ong per cui lavorano. I paesi donatori intanto si danno appuntamento per lunedì per coordinare la distribuzione degli aiuti, con Ban Ki Moon che ieri ha precisato che «l’Onu è il vero leader nel coordinamento», in polemica con il «dominio Usa». Il quotidiano dei vescovi propone, per la ricostruzione, il “modello Colombia”, con ogni paese che si impegna a ricostruire una determinata tipologia di edifici, chi le scuole, chi quel quartiere… Sui minori, giro tra le associazioni, con voci discordanti. Unicef dice che un trasferimento anche solo di due mesi potrebbe generare un trauma, mentre Griffini dice che «nessuno vuole una deportazione di massa, ma qualcosa si deve pur fare», la Papa Giovanni XXIII propone l’affido internazionale mirato al rientro in patria, Anfaa è contraria a ogni «esproprio di bambini». L’Olanda intanto ha approvato l’adozione veloce, e già ieri è partito un volo del ministero degli esteri per portare in Olanda 150 bambini di Haiti, che saranno adottati immediatamente.    

“Che fine hanno fatto i bimbi di Lèogane?”. Si apre con questo interrogativo l’articolo su Haiti in prima pagina de LA STAMPA nell’edizione di oggi, mentre una grande foto coglie un soldato del contingente Onu mentre sta portando in salvo una bambina. «La macchina degli aiuti continua a macinare chilometri con derrate alimentari, coperte, acqua 
e medicinali» scrive nel suo reportage Francesco Semprini. Nei centri fuori dalla capitale come Lèogane, dove mancano all’appello cento alunni di una scuola, «dopo giorni di totale assenza affluiscono i primi soccorsi, come un unico grande serpentone che parte dall’aeroporto di Port-au-Prince e attraverso le vie di accesso alla capitale si sonda per tutto il resto del Paese». Oltre all’Onu e all’esercito americano (che ha ricevuto carta bianca dal governo haitiano ed è accusato di monopolizzare l’aeroporto della capitale) molti singoli volontari sono arrivati ad Haiti per prestare soccorso. LA STAMPA racconta la storia di José de Veirera, americano originario di Santo Domingo, che ha chiuso la sua piccola impresa edile e ha organizzato una task force di 14 persone, di cui tre medici, con la quale vuole ricostruire un orfanotrofio crollato. C’è Gilles di Montréal, pilota: ha chiesto invano alla sua compagnia di organizzare un cargo di aiuti, poi ci ha pensato lui. Ha preso tre settimane di ferie ed è arrivato ad Haiti con una scorta di medicinali che ha distribuito nel suo quartiere d’origine a Port-au-Prince.

E inoltre sui giornali di oggi:

FAMIGLIA
CORRIERE DELLA SERA – “Sacconi rilancia la riforma a partire dalle famiglie”, annuncia il quotidiano a pag 11. Sostiene il ministro del welfare: «Ritornare alle deduzioni per i carichi familiari è uno degli obiettivi. Funzionano anche meglio del quoziente familiare». Ma sul come trovare le risorse necessarie, Sacconi passa la palla all’Economia: «Sui tempi della riforma e su come finanziarla parla per tutti il ministro Tremonti».  

INFLUENZA A
LA REPUBBLICA – Autodifesa del ministro Fazio, che promette che i vaccini acquistati e non usati non saranno sprecati. «Abbiamo seguito il principio di precauzione», dice, «Come accade con le case antisismiche, non si dà certo la colpa a nessuno se poi il terremoto non si presenta». Metafora a dir poco inelegante. Come non troppo elegante la scappatoia con cui il ministro glissa sul contratto con Novartis (prevede di pagare anche le dosi non ritirate) e sulla decisione dell’azienda di licenziare 24 dipendenti (in un anno in cui ha avuto utili stellari): «è una questione interna all’azienda» sussurra il ministro. Intanto è partita la richiesta di una inchiesta parlamentare.

AMBIENTE
ITALIA OGGI – “La rivoluzione verde dell’hi-tech”. Secondo il pezzo, la vera sfida del settore dei prodotti tecnologici è quella di ridurre i consumi elettrici. «Una sfida» scrive ITALIA OGGI «che i grandi produttori sembrano aver raccolto con il lancio di componenti, apparecchi ed equipaggiamenti sempre meno “energivori”». La Nokia e la Sony sono in prima linea nell’innovazione delle pratiche ecocompatibili. Le ultime generazioni di processori, pc, schermi, antenne Gps sono in media tra il 20 e il 30% più efficienti sul piano energetico. La vera frontiera è quella degli schermi Led. Essi permettono di risparmiare fino al 60% di elettricità. 

ISLAM
IL GIORNALE – Due pagine, la 20 e la 21 , dedicate alla “Integrazione mancata”. Il primo caso riguarda “L’Egitto che truffa le donne italiane che amano un islamico perché sono chiamate a trascrivere l’atto di matrimonio, ma molte spose senza saperlo concludono un contratto basato sulla sharia”. Non solo, scrive Marcello Foa : «Se il matrimonio non va, l’uomo potrà prendere i figli, portarli in Egitto e affidarli alla nonna o a una zia». A pagina 21 la cronaca della 17enne pakistana  superata dalle notizie di questa mattina della ragazza pakistana rapita dal padre e appunto salvata qualche ora fa. Rimane l’infografica dei casi Hina e Sanaa e l’intervista a Ejaz Ahmad giornalista e mediatore pakistano che dice «in Italia i Fratelli musulmani stanno lavorando benissimo. Hanno le moschee e hanno i soldi».
 
GIUSTIZIA
ITALIA OGGI – Attenzione a chi calunniante. Secondo il pezzo “Guai a diffamare i giudici”,  quando i magistrati querelano ottengono risarcimenti molto più alti di quelli dei politici e dei comuni cittadini:  44 mila euro medi contro i 4.300 dei comuni cittadini. Ma non solo: i processi per le toghe sono anche  più brevi. «La durata media dei procedimenti giudiziari» scrive ITALIA OGGI  «varia in dipendenza dalla categoria di appartenenza dell’attore; essa, infatti, aumenta sensibilmente in sede penale, se si tratta di magistrati ed, invece, diminuisce, sempre per i magistrati in sede civile». I dati sono frutto di una ricerca che sarà pubblicata dal prossimo numero della rivista Sociologia del Diritto.  ITALIA OGGI ha messo la notizia della ricerca in prima pagina e l’approfondisce nella sezione Primo Piano.

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