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Haiti è nel caos: l’appello dell’ONU

Le forniture di acqua e carburante sono bloccate, da mesi le scuole sono chiuse e, non bastasse, è tornato il colera, che ha ricominciato a mietere vittime innocenti, soprattutto bambini. Gli Stati Uniti stanno valutando l'appello del primo ministro Henry, che vuole l'invio di una "forza armata internazionale" che lo aiuti ad uscire dal dramma. Il Washington Post è a favore ma i precedenti Usa (e dei Caschi Blu) nell'isola caraibica non fanno ben sperare.

di Paolo Manzo

Sabato scorso gli Stati Uniti hanno dichiarato che stanno esaminando una richiesta di sostegno internazionale da Haiti, che ha lanciato un appello affinché "una forza armata specializzata" aiuti il paese ad affrontare la crisi tremenda che lo affligge. A 15 mesi dell'assassinio del suo presidente, Jovenel Moïse, Haiti è nel caos. In realtà lo è da mesi ma, solo da qualche giorno si discute seriamente di un intervento internazionale per evitare un disastro umanitario nella già martoriata nazione insulare.

Domenica scorsa, il Segretario Generale dell'ONU António Guterres ha proposto che uno o più Paesi dispieghino immediatamente una forza d'azione rapida in risposta alla richiesta di aiuto lanciata dal primo ministro haitiano Ariel Henry, qualche giorno prima.

L'obiettivo? "Spezzare la morsa paralizzante della violenza e l'accelerazione del crollo delle infrastrutture e dell'ordine pubblico” scriveva ieri in un suo editoriale il Washington Post, secondo il quale si tratta di "un passo nella giusta direzione”. C’è però un “ma”, sottolineato dal quotidiano statunitense: "qualsiasi iniziativa per mandare una forza internazionale sul terreno per ripristinare una parvenza di stabilità ad Haiti rischia di provocare ulteriori spargimenti di sangue, almeno nel breve termine, e fallirà se sosterrà l'attuale governo, che è ampiamente disprezzato".

Grazie soprattutto all'intervento degli USA, infatti, Henry ha prestato giuramento nel luglio 2021 dopo l'assassinio di Moïse. Il suo governo è stato un disastro, avendo promosso la dissoluzione del Paese in feudi di bande criminali alleate con l'élite del Paese. Inoltre, non ha fatto niente per portare il paese caraibico alle elezioni, che dovevano tenersi un anno fa, né ha intrapreso negoziati seri con i partiti politici e la società civile haitiana. Infine, dopo avere annunciato un aumento dei carburanti che ha ulteriormente esasperato la popolazione, ha di fatto ceduto il controllo della capitale Port-au-Prince alla violenza delle gang criminali.

Le forniture di acqua e carburante sono bloccate, da mesi le scuole sono chiuse e, non bastasse, è tornato il colera, che ha ricominciato a mietere vittime innocenti, soprattutto bambini. La scorsa settimana, in una lettera al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, un gruppo di deputati e senatori americani ha fornito ulteriori dettagli sui fallimenti di Henry. La lettera ha sottolineato che, anche se le turbolenze di Haiti si sono aggravate, l'amministrazione Biden non ha neanche ancora trovato il tempo di sostituire il suo inviato speciale nel Paese, dopo che il precedente si era dimesso polemicamente un anno fa, in contrasto con la decisione dello stesso inquilino della Casa Bianca di espellere gli haitiani che stanno disperatamente cercando di fuggire dall’inferno del loro paese.

Oggi suonano premonitorie le dimissioni dell’ex inviato speciale della Casa Bianca per Haiti, Daniel Foote, un diplomatico di carriera nominato subito dopo l'assassinio del presidente haitiano Moïse. In una lettera presentata al segretario di Stato Antony Blinken, Foote aveva annunciato di andarsene "con profonda delusione. Non permetterò a me stesso di essere associato alla decisione disumana e controproducente degli Stati Uniti di espellere migliaia di rifugiati ad Haiti, un paese dove i funzionari americani sono rinchiusi in caserme sicure a causa del pericolo rappresentato dalle bande armate qui”, aveva scritto senza giri di parole il coraggioso diplomatico.

Inoltre Foote ammetteva già un anno fa che l'intervento di Washington ad Haiti era stato e continuava ad essere un disastro. «Il nostro approccio politico ad Haiti rimane profondamente imperfetto e le mie raccomandazioni sono state ignorate e scartate, se non modificate per proiettare una narrativa diversa dalla realtà», aggiungendo che già lo scorso ottobre Haiti era devastata da «povertà, criminalità, corruzione del governo e mancanza di risorse umanitarie», e che «uno stato al collasso non può fornire sicurezza o servizi di base, e la presenza di più rifugiati alimenterà più disperazione e più criminalità». Come nota finale, Foote avvertiva che se si verificheranno ulteriori disastri ad Haiti, ci saranno conseguenze "terribili", non solo per quel paese «ma per gli Stati Uniti e i suoi vicini nell'emisfero».

Un durissimo memento che, dopo essere stato duramente criticato da Blinken, oggi torna attuale più che mai.

Biden da allora ha accelerato la sua campagna di deportazioni, tuttora in corso (allargata ora anche ai disperati venezuelani). Il presidente Usa ha infatti rispedito nell’inferno di Port-au-Prince più di 26.000 haitiani che avevano attraversato la frontiera, spendendo tutto ciò che avevano e rischiando la vita, senza permettere loro di chiedere asilo. "È inconcepibile che il Paese più ricco dell'Emisfero Occidentale appesantisca i più poveri con un flusso di migranti in un momento di crisi economica, umanitaria e di sicurezza” scrive il Washington Post nel suo editoriale. Più che inconcepibile immorale e vergognoso, aggiungiamo noi.

Vedremo se l’ONU riuscirà a mettere in campo una forza di pace dopo l’appello di Guterres ma, di certo, i precedenti non sono lusinghieri neanche per il Palazzo di Vetro. La forza di pace dell'ONU dispiegata per 13 anni, fino al 2017, aveva sì fornito un minimo di stabilità ma era stata responsabile dell'introduzione di quella che è diventata una delle peggiori epidemie di colera del mondo. Inoltre, è bene ricordarlo qui ad onor del vero, alcune delle sue truppe avevano abusato sessualmente di ragazze e donne haitiane.

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