Cultura

Hailè Gebrselassie quel fulmine con l’aria da santo

È l’atleta simbolo del continente. Impegnato nel riscatto del suo Paese, l’Etiopia. Ambasciatore Onu nella lotta all’Aids. Generoso con i colleghi meno fortunati.

di Joshua Massarenti

Diciassette record mondiali frantumati, due ori olimpici e tre mondiali già appesi in bacheca, un sorriso contagioso e ancora tanta voglia di regalare ad Atene imprese memorabili a chi, come lui, è partito dal nulla per diventare uno fra i più grandi campioni sportivi di tutti i tempi.
Lui, è Haile Gebrselassie, leggenda vivente dell?atletica mondiale e dello sport tout court. Un?icona sociale, che dall?alto del suo metro e 65 ha fatto la gioia di sponsor e imperi massmediatici, svegli nel capire al volo che con questo africano i soldi sarebbero piovuti a dirotto. Chi oggi della Bbc o di Abc Sport non sarebbe pronto a dedicare i propri riflettori a un african self made man che dalla miseria più nera ha conquistato la gloria? Bisogna risalire al 18 aprile 1974, ad Assela, negli altipiani di Arrsi, 200 km a sud di Addis Abeba, la capitale di un Paese, l?Etiopia, in cui siccità e povertà la fanno da padrone. Mamma Gebrselassie mette al mondo il suo ottavo figlio con la convinzione che, vista la miseria dilagante, di figli è meglio farne tanti perché se Dio non è avaro, prima o poi almeno uno dovrà pur sfondare nella vita per mettere al sicuro il resto della famiglia.
Papà Gebr, un militare di modesta carriera, non sospetta che a gettar le basi atletiche di suo figlio saranno i chilometri che separano la dimora della famiglia dalla scuola. «Di chilometri», ricorda l?enfant prodige, «ne facevo dieci al giorno. E di corsa. Il terreno e il clima durante la stagione della pioggia non erano proprio propizi per prendersela con calma».
«Dalle sue parti», spiega il coach Wolde-Meskel Kostre, «i libri di scuola venivano portati a mano. Lui correva con dieci libri sotto il braccio sinistro, ed è per questo motivo che oggi lo si vede correre con questo braccio piegato a forma di L».
Il primo passo da campione lo compie a 16 anni quando, privo di qualsiasi formazione, decide di partecipare alla maratona di Addis Abeba chiudendo in 2 ore e 42 minuti. Il tempo è quello che è, ma nell?esigente ambiente atletico etiope, già si sussura che questo ragazzo, giunto sul traguardo con i piedi insanguinati, di strada ne farà. Siamo nel 1991: a fine maggio, i cingoli dei carri armati rimbombano nelle strade della capitale. Il regime marxista-leninista di Haile Mariam Mengistu viene buttato giù a colpi di cannone e rimpiazzato da una giunta militare pronta a restituire alle etnie tigrine Afar, Issa e Omoro il loro splendore imperiale d?antan.
Troppo giovane per interessarsi alle liti furibonde che da principio oppongono la sua etnia originaria Omoro ai predatori tigrini guidati dall?attuale premier Menes Zenawi, Gebr sogna terre meno incandescenti e un buon pretesto per coronare un sogno: sorvolare mari e monti in aereo. I mondiali juniores di Anversa lasciano tracce indelebili, non tanto per l?ottavo posto agguantato al cross country, ma «per le fantastiche sensazioni provate durante il mio battesimo di volo».
Nel 92 si inizia a fare sul serio. Ai mondiali juniores di Seul, in meno di 24 ore prende i due primi ori sui 5.000 e i 10.000 metri. Primo record mondiale nel 94, primo oro olimpico ai giochi di Atlanta del 96 sui 10.000 metri, una distanza nella quale rimane imbattibile per oltre otto anni, e così via. A Sidney la doppietta sui 5.000 e 10.000. Una folla immensa lo accoglie lungo le strade di Addis al suo ritorno dall?Australia. «Un onore», assicura lui con voce umile.
Gebrselassie è anche un campione generoso. Siamo nel 2000, a Montevideo. «Eravamo lì per correre una 12 km», ricorda a Vita l?atleta ruandese Gabriel Mpazimpaka. «Con Gebr, ci conoscevamo già. Era rimasto molto colpito dal genocidio ruandese del 94, e ogni volta mi domandava com?era la situazione nel mio Paese. Fatto sta che, dopo la gara, mi ha chiesto se ero riuscito a guadagnarmi un po? di dollari. ?Pochi?, gli risposi. Bene, il giorno dopo si è presentato con 2mila dollari in contanti e me li ha dati!».
«I soldi non sono tutto», afferma Haile. Di sicuro, ne ha vinti un mucchio spendendoli bene. I suoi investimenti spaziano dall?immobiliare (celebre il suo centro commerciale Asmera Road) alle sale di cinema, passando per i ristoranti e «una pista atletica costruita in pieno deserto, nel nord dell?Etiopia». La sua impresa familiare – capeggiata dai suoi fratelli e da sua moglie Alem – ha generato soldi e oltre 200 posti di lavoro.
Ma sir Gebr non rimane indifferente alle sofferenze patite dalla stragrande maggioranza dei suoi connazionali. «Nel mio Paese, non c?è una persona che non abbia un malato di Aids tra i propri familiari. Molte persone infette dal virus hanno sempre fatto il tifo per me. è chiaro», prosegue disarmato, «non posso cambiare tutto, ma posso fare in modo di cambiare la situazione della mia nazione. Sento questa vocazione sociale e sono felice di essere ambasciatore dell?Onu per la lotta all?Aids», si limita a dire. Ma chi lo conosce bene sa che l?educazione è un tema che gli sta a cuore (tre le scuole private da lui create), così come l?handicap (la Sports Association of Disabled of Ethiopia è opera sua) o il destino di molte glorie etiopi sprofondate nell?oblio e abbandonate dalla propria federazione.
«Con tutti questi numeri», assicura un membro della Commissione olimpica etiope, «Haile è destinato a entrare in politica». Lui non si tira indietro. Ma precisa: «Se ne riparlerà quando avrò 40 anni. Solo con l?età si diventa più saggi, più educati». Chi invece lo voterebbe a occhi chiusi sono i milioni di etiopi che tiferanno per lui alle Olimpiadi di Atene. Ma sulla sua strada, dovrà superare l?astro nascente del mezzofondo mondiale, il connazionale Kenenisa Bekele. «I due si stanno allenando sodo insieme ad altri 24 atleti della squadra etiope», assicura Kostre, il coach della nazionale. Ma Gebr al terzo oro olimpico ci pensa, eccome…

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