Politica
Ha vinto ancora la filosofiadella provvisorietà
energia&clima Perché l'obiettivo di Kyoto resta lontano
di Redazione
Italia provvisoria: questo lo spirito col quale anche l’ultimo governo ha agito in termini di energia e riduzione delle emissioni di gas serra. Certo, qualcosa è stato fatto. Ma mai inquadrato in un progetto complessivo.
Pur annunciata più volte, la Conferenza su energia e ambiente non si è riuscita a fare, e non si è riusciti a presentare un Piano energetico nazionale. L’incapacità di portare a termine un percorso di chiarezza sulle direttrici energetiche del Paese è sintomo, comune agli schieramenti politici, dell’incapacità di offrire un disegno che concili, come chiede l’Europa, sicurezza degli approvvigionamenti con salvaguardia del clima.
La classe politica italiana rimane ancora in scacco delle ex imprese energetiche monopolistiche. Il risultato è una gran voglia di centrali a carbone e, in alcuni casi, di ritorno al nucleare, politiche che evidentemente è bene non discutere pubblicamente con un piano nazionale.
In questa situazione l’Italia continua a perdere terreno. Nel 2007 e nei primi mesi del 2008, l’Europa ha presentato un pacchetto innovativo di riforme e di misure dei sistemi energetici sui quali il nostro Paese ha fornito un misero contributo, se non un vero e proprio disturbo.
I passaggi rilevanti della scorsa legislatura, oltre alle azioni per favorire l’efficienza energetica (contenute nella Finanziaria del 2007 e 2008 e illustrate nel box accanto), sono stati: la riforma del sistema d’incentivazione delle fonti rinnovabili (i cosiddetti certificati verdi), novità sulla questione Cip6, applicazione della direttiva ETS per il periodo 2008 – 2012. Vediamole nel dettaglio
La riforma prevede una differenziazione, anche se non particolarmente significativa, delle incentivazioni per fonte rinnovabile, la fissazione di un meccanismo di definizione del prezzo dei certificati verdi, l’aggiornamento dell’incremento dell’obbligo per i prossimi tre anni dallo 0,35 allo 0,75%, il prolungamento dell’incentivo a 15 anni.
Rimangono irrisolti due aspetti fondamentali del sistema che ne ridimensionano notevolmente l’efficacia: l’esenzione di circa il 40% dell’energia elettrica dall’obbligo dei certificati verdi e la possibilità di fare valere i rifacimenti di impianti esistenti come impianti nuovi ai sensi delle incentivazioni.
In conclusione è mancata la capacità di elaborare sistemi d’incentivazione indipendenti pensati nell’interesse del Paese ed in linea con obiettivi minimi di sviluppo.
La Finanziaria 2007, infine, ha tolto le incentivazioni tramite certificato verde alla componente non organica dei rifiuti per la produzione di energia elettrica, adeguamento dovuto alle norme europee.
Con tale direttiva l’Unione Europea chiede ai grandi impianti energetici di internalizzare i costi delle emissioni di CO2 attraverso l’istituzione di un meccanismo di “cap and trade”. Nell’applicare la norma il governo ha nuovamente privilegiato le posizioni del settore elettrico. La distribuzione gratuita dei diritti per inquinare ha visto il governo impegnato a favorire i produttori elettrici anziché proteggere i consumatori.
Il piano nazionale di allocazione delle quote è stato più un esercizio di elusione della norma anziché una sincera adozione di una direttiva europea. In particolare un escamotage sugli impianti Cip6 determinerà un aggravio di circa 400 milioni di euro per i consumatori senza sortire alcun beneficio ambientale. Lo schema del piano è stato forzato per garantire quote gratuite ai nuovi impianti a carbone progettati da Enel, ben altro rispetto all’applicazione del principio del “chi inquina paga”.
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