Non profit

Guzzetti: «Non ci sarà ripartenza senza il Terzo settore»

“C’è il rischio usciti dalla pandemia di avere un Terzo settore più fragile, un volontariato più indebolito e allora il primo obiettivo delle fondazioni di origine bancaria è quello di fare in modo che le organizzazioni non chiudano e mantengano la loro capacità di risposta ai bisogni sociali più urgenti. Lo Stato ha fatto troppo poco, non basta dire che i volontari sono bravi, bisogna trattarli almeno come tutti gli altri”

di Riccardo Bonacina

L’avvocato Giuseppe Guzzetti si arrabbia quando qualcuno lo definisce il padre delle moderne Fondazioni d’origine bancaria ma la cronaca nella sua essenzialità dice che è proprio così: dal 5 febbraio 1997 al 28 maggio 2019 è stato presidente di Fondazione Cariplo e dal 2000 al 2019 è stato Presidente dell’Acri, Associazione di Fondazioni e Casse di risparmio. Un sistema, quello delle Fondazioni di origine bancaria che ha resistito ai tanti tentativi di pubblicizzazione di un patrimonio che fa gola a molti. Patrimonio costituito dai risparmi dei cittadini che le Fondazioni investono e dagli utili prodotti al netto delle tasse (100 milioni nel 2010 e 408 milioni oggi, ricorda sempre l’avvocato) e delle spese di funzionamento, è interamente destinato a finanziare i quattro settori assegnategli dalla legge istitutiva: servizi sociali, arte e cultura, ambiente e ricerca scientifica. Circa un miliardo l’anno, e l’avvocato quando ancor oggi quando vede articoli o interventi che raccontano sulle Fondazioni cose sbagliate o inesatte prende carta e penna per replicare. Incontriamo Giuseppe Guzzetti per un’intervista per la trasmissione di Rai due “L’Italia che fa”.



Avvocato, lei non msette mai di sottolineare come per le Fondazioni di origine bancaria il Terzo settore sia il partner fondamentale

Le fondazioni non fanno niente in proprio, come attuano il loro impegno nel sociale nelle sue quattro declinazioni: Servizi alla persona, Arte e cultura, la Ricerca e l’Ambiente? Con il Terzo settore, il volontariato, il privato sociale che sono coloro che in questi anni hanno garantito un livello di accettabilità delle risposte ai bisogni sociali che altrimenti avrebbero trovato ben poche risposte.

Le Fondazioni potrebbero anche fare in proprio, una fondazione potrebbe gestire una scuola o una casa per ilfine vita, ma non è questa la funzione che hanno scelto, la scelta è stata di essere enti erogativi, che non vuol dire distribuire i soldi a casaccio. Abbiamo via via affinato il meccanismo dei bandi, dei progetti e delle valutazioni di impatto, ma bandi e progetti li realizziamo tramite il Terzo settore.

La seconda caratteristica è che le fondazioni in queste loro attività hanno sempre puntato all’innovazione, ovvero non ci si limita a dare contributi ma si chiede di migliorare le attività, di sperimentare nuove risposte ai bisogni vecchi o nuovi. Le Fondazioni da anni, oltre a erogare miliardi, fanno innovazioni sociale e sperimentano nuove forme di intervento: edilizia sociale, welfare di comunità, contrasto alla povertà educativa. Quest'ultima iniziativa, prorogata sino al 2021 grazie al credito di imposta riconosciuto dallo Stato, ha permesso di puntare tra 2016 e 2018, 120 milioni l'anno sulla povertà educativa di 1,2 milioni di bambini, togliendone 500mila dalla povertà. Quel modello, credo, si debba replicare oggi per l'assistenza agli anziani (da riorganizzare con cure palliative a domicilio, non concentrate nelle Rsa, rivelatesi più che altro un business per chi le gestisce) e alle altre priorità strategiche

Una delle sentenze della Corte Costituzionale del 2003, sentenze che hanno salvato le fondazioni di origine bancaria da tentativi di pubblicizzazione, la sentenza n. 300 per l’esattezza, dice che abbiamo una funzione fondamentale in quanto facciamo parte dell’organizzazione delle libertà sociali abbiamo il dovere di attuare il principio di sussidiarietà insieme al volontariato e al Terzo settore.

Passata la pandemia quale nuova sfida, che visione nuova per le Fondazioni?

Oggi in Italia dobbiamo aver coscienza piena che quali che siano gli interventi che fa lo Stato, lo Stato non sarà mai in grado di fare quello che garantiscono oggi volontariato e Terzo settore. Dobbiamo essere ben coscienti che tantissimi bisogni sociali non possono che trovare risposta nel privato sociale, pensiamo per esempio a genitori di bambini autistici che si mettono insieme per assicurare un domani degno e autonomo ai loro figli. Ecco queste risposte lo Stato non sarà mai in grado di darle, al più lo Stato istituzionalizza, e se è bravo e non è cieco, incoraggia quello si muove dentro la società. Ora i bisogni sociali aumenteranno e si aggraveranno, perciò abbiamo bisogno di un volontariato sano, forte, nel pieno delle sue capacità per interpretare al meglio la sua funzione di sussidiarietà in un frangente tanto delicato.

La pandemia, purtroppo, tra i tanti effetti negativi ha anche avuto l’effetto di mettere in crisi tanto volontariato che oggi soffre per le minori donazioni, ridottesi di un terzo perchè focalizzate sugli aiuti sanitari urgenti. C’è il rischio usciti dalla pandemia di avere un Terzo settore più fragile, un volontariato più indebolito e allora il promo obiettivo delle fondazioni di origine bancaria è quello di fare in modo che le organizzazioni non chiudano e mantengano la loro capacità di risposta ai bisogni sociali più urgenti.

Lo Stato in tutti questi provvedimenti urgenti e a getto continuo poteva e doveva far molto di più. Non basta dire che i volontari sono bravi, bisogna trattarli come si trattano le partite Iva, le imprese, i lavoratori, gli stabilimenti balneari, e invece, nel concreto, li si dimentica sempre. Per questo l’Acri ha lanciato due fondi, il primo di garanzia per le banche perché siano tranquille a concedere affidamenti alle organizzazioni di terzo settore, il secondo finalizzato alla riduzione degli interessi sui prestiti. Poi alcune Fondazioni come Cariplo ha lanciato un bando (Lets Go) finalizzato a dare contributi agli enti di terzo settore per superare la fase di crisi. Come ha detto il suo presidente, il professor Giovanni Fosti, «Gli enti di Terzo Settore sono cruciali per le nostre persone, per le nostre comunità e per le nostre Istituzioni. Perderli significherebbe perdere pezzi di comunità. Perdere questa rete creerebbe un enorme danno economico, metterebbe in difficoltà le nostre famiglie, ma significherebbe anche disperdere l’insieme di lavoratori e di volontari ad essa collegato, un patrimonio preziosissimo». Quel che le Fondazioni devono fare è non far seccare questi filoni quando l'emergenza finirà, ma orientarli sui bisogni sociali e del welfare, drammatici già prima che iniziassero i contagi. Bisogna insistere su una mobilitazione dei territori con un'alleanza forte e strategica tra governo, Fondazioni, Terzo settore e l'altro soggetto importante, le imprese e le banche che destinano fondi importanti al sociale. Insieme dobbiamo cambiare le priorità delle politiche economico e sociali, privilegiando il welfare: il contrasto a tutte le povertà.

Perchè è tanto importante un volontariato e un Terzo settore in salute?

Parliamo di volontariato e terzo settore sempre nell’ambito sociale, ma voglio sottolineare come il Terzo settore, il terzo pilastro è fondamentale per la tenuta del sistema democratico. Le democrazie liberali come la nostra e quelle occidentali si regge su tre pilastri, lo Stato, ovvero il sistema pubblico, il settore privato che dà vita allo spazio del mercato, e il Terzo settore e privato sociale. Se questi tre pilastri sono tutti e tre solidi e collaborano il sistema regge ed è in grado di dar risposte, ma se il Terzo settore scompare o si indebolisce la democrazia rischia. I sovranisti i populisti la prima cosa che fanno è sempre quella di attaccare le organizzazioni di volontariato e l’associazionismo, il terzo pilastro è una storia antica e recente, guardiamo in Ungheria o da noi gli attacchi strumentali e vergognosi a cooperative, associazionismo e ong.

Cito Raghuram G. Rajan, economista della scuola di Chicago ex governatore della Banca centrale indiana, ha scritto un libro di 600 pagine intitolato appunto “Il terzo pilastro”, per documentare l’importanza del terzo settore, ovvero del pilastro che genera comunità e responsabilità.

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