Mondo

Guitti in Palestina

Si chiama Teatro Inad, cioé testardo. E' una compagnia nata in Cisgiordania. Ne parla l'ideatrice, Marina Barham

di Luca Fiore

Il teatro Inad nasce nel 1987 a Beit Jala, Cisgiordania. È registrato presso il Ministero della Cultura Palestinese come Centro non profit per il Teatro e per le Arti ed è l?unico gruppo teatrale professionale in Cisgiordania. Gli obbiettivi del teatro Inad vanno dal rendere accessibili il teatro e le arti per i 200 mila abitanti della regione, all’incoraggiare i giovani a scrivere per il teatro. Gli spettacoli affrontano i problemi sociali all?interno della società palestinese, con attenzione particolare ai diritti delle donne e dei bambini, alla violenza domestica, alla tossicodipendenza, ai traumi collettivi. Nel corso del 2000 la compagnia ha realizzato 203 rappresentazioni solo nel sud della Cisgiordania. Ne hanno potuto beneficiare oltre 120 mila bambini in differenti città, villaggi e campi profughi nell?area di Betlemme e Hebron. Una passione per il teatro che sfida i proiettili e i tank, i coprifuoco e i posti di blocco. Il desiderio che la vita non ceda alla tempesta d?odio e che i giovani vengano privati del senso del bello. Sono questi i sentimenti che animano gli attori della compagnia teatrale Inad che a Beit Jala, da quando è scoppiata la seconda Intifada, non hanno mai smesso di portare in scena i loro spettacoli. Raggiungono i loro spettatori, adulti e bambini, muovendosi per le strade dissestate della Cisgiordania con un camion che trasformano in palcoscenico. In Palestina i teatri infatti sono davvero pochi e se ci sono, sono inagibili perché distrutti dai bombardamenti. I loro spettacoli cercano di aiutare le persone a superare i traumi della guerra e combattere l?odio sfrenato che in questi anni l?occupazione ha prodotto nell?animo delle persone. Uno di questi spettacoli è stato messo in scena nelle settimane scorse a Roma, e racconta la storia di una ragazza cristiana che si innamora di un coetaneo mussulmano. Marina Barham è la direttrice di questa compagnia che ha come obbiettivo di promuovere il teatro, le arti e la cultura, per aiutare il popolo palestinese a reagire e non scordare la bellezza e il senso della vita. Ci racconta la sua esperienza con entusiasmo, senza che dalla sua voce emerga un filo d?odio? Perché la cultura è così importante in questo momento per il popolo palestinese? E’ l?unico strumento che permette alla gente di sentirsi viva. Nella situazione attuale è il modo per far fronte allo stress a cui siamo sottoposti tutti giorni andando a lavoro o a scuola. Le associazioni culturali aiutano persone che non sono necessariamente artisti, danno la possibilità a tutti di combattere la tensione. Negli ultimi due anni abbiamo sperimentato come far conoscere la situazione palestinese attraverso lo strumento artistico sia molto più efficace dal punto di vista comunicativo nei confronti dei paesi occidentali, piuttosto che le dimostrazioni e le proteste alle quali eravamo abituati. Vogliamo far nascere una generazione educata ad apprezzare il teatro e l?arte. Il teatro infatti è una cosa nuova in Palestina, non fa parte della nostra cultura gli adulti infatti non sono abituati a questo tipo di cose. Quanto è conosciuto e quanto è condiviso il vostro lavoro? Comincia adesso ad essere conosciuto, prima non lo era e quando lo era veniva osteggiato. Durante la prima Intifada quello che facevamo era rifiutato dalla comunità e qualche volta gli attori venivano addirittura picchiati perché il teatro era disprezzato. Qualcosa in questi ultimi anni è cambiato, è successa come una rivoluzione e non sto parlando di quella contro l?occupazione, ma quella dell?apertura verso la nuova arte e il nuovo teatro. Molta gente capisce che il teatro è uno strumento efficace per aiutare bambini e adulti in questi momenti di grande difficoltà. La gente ha cominciato a chiederci di fare spettacoli perché desidera qualcosa di nuovo per la loro vita perché è stanca delle pallottole e delle bombe. La gente cerca qualcosa per sopravvivere al turbine della violenza un modo per non essere morti anche se si vive. È molto difficile anche per noi attori capire cosa ci sta capitando per provare a cambiare posizione di chi ci viene a vedere. Comunque la gente sta cambiando, tanto che se una volta era molto difficile fare teatro nelle scuole e mai ci venivano dato spazio durante l?orario di scuola, oggi alcuni presidi ci danno la possibilità di fare i corsi di teatro durante la giornata scolastica. I bambini infatti subiscono tanto stress da non riuscire più a concentrarsi e il teatro gli aiuta a combattere questa tensione. Qual è la ragione che vi spinge a rischiare così tanto per il vostro lavoro? Per sentirci vivi. È molto importante per noi avere davanti gli occhi dei bambini con cui lavoriamo. Guardare quegli occhi ci fa percepire che stiamo facendo qualcosa di importante. È una specie di combattimento il nostro, senza pistole o fucili, la nostra battaglia la facciamo attraverso il teatro per difenderci dagli orrori dell?occupazione. Lei parla di battaglia ma non c?è odio nelle sue parole? È vero non provo odio. Ma provo rabbia non solo nei confronti degli israeliani, ma anche nei confronti degli Stati Uniti e dell?Europa perché non permettono che vi sia giustizia nel nostro paese. Ma anche il nostro lavoro sta cercando di creare un sentimento di pace nei nostri spettatori. Occorre che la pace sia prima in noi stessi perché possiamo averla nei confronti degli altri. È molto triste la situazione da noi. Ho due piccole nipoti, una ha quasi due anni ed è sempre vissuta sotto i bombardamenti e in mezzo alle sparatorie. Immaginatevi che tristezza sentire che le prime parole che ha detto non sono state mamma o papà, ma ?spari? e ?tank? che in arabo sono delle parole molto difficili da pronunciare. Noi cerchiamo di restituire a questi bambini un po? della loro infanzia, cerchiamo di mostrare loro cose che dei bambini dovrebbero vedere normalmente, ma che loro non vedono. Il nostro non è teatro politico, non ci interessa la politica, non crediamo nella violenza, cerchiamo di incoraggiare i bambini ad avere sentimenti di pace che spesso non hanno. Spesso chiedono come regalo ai propri genitori delle armi giocattolo perché dicono di voler proteggere le loro case e le loro famiglie. Un giorno abbiamo incontrato un bambino in una scuola che aveva addosso 6 magliette, e quando gli abbiamo chiesto perché avesse indossato tutte quelle magliette ci ha risposto: ?Perché così forse le pallottole non riusciranno a ferirmi?. Lei ha una croce al collo, è cristiana? Sì, sono cristiana. Che rapporto c?è tra il suo essere cristiana e il suo lavoro? Non c?è nessun rapporto. La nostra compagnia è formata da cristiani e mussulmani e non ha nessuna affiliazione di tipo religioso. Non aiuto le persone perché sono cristiana, ma perché sono una persona. Ogni giorno lavoriamo insieme cristiani e mussulmani poi per pregare ognuno va in chiesa o in moschea. E qualche volta non ci andiamo del tutto.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA