Volontariato
Guinea, i missionari: l’Onu abbandona i profughi
250mila rifugiati sono rimasti intrappolati nelle zone di confine tra Sierra Leone, Liberia e Guinea. I religiosi denunciano: l'Onu non ha i mezzi per intervenire
di Paola Mattei
“Bisogna creare un corridoio di sicurezza per i profughi e quelli che lavorano nelle organizzazioni umanitarie”. L’appello è stato rivolto dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Ruud Lubbers, durante la sua visita nei campi di accoglienza vicino a Massakoundou, nei giorni scorsi.
Oltre 250mila profughi sono rimasti, infatti, intrappolati nelle zone di confine tra Sierra Leone, Liberia e Guinea, dove gli scontri sono più frequenti. Lubbers ha rivolto un accorato appello ai capi di Stato dell’Africa dell’Ovest per cercare una strategia in comune sulla crisi di 450-550mila rifugiati. 330mila profughi della Sierra Leone e 130mila della Liberia stanno cercando riparo in Guinea, da dove altre 70mila si sono dati alla fuga in questi due paesi. La situazione tuttavia è peggiorata nelle ultime settimane.
La ripresa delle incursioni da parte dei ribelli ha reso insicuri gli stessi campi di accoglienza. In questi giorni, migliaia di rifugiati della Sierra Leone e della Liberia in Guinea stanno fuggendo dal campo di accoglienza di Nyaedou, verso la città di Kissidougou, dove ci sono le basi delle operazioni dell’Onu, a causa degli scontri tra i ribelli e gli eserciti regolari. Ad aggravare le difficili condizioni dei profughi, si aggiungono una terribile carestia e un’epidemia di febbre gialla, che stanno provocando centinaia di morti. “I confini di guerra che hanno causato un così alto numero di rifugiati sono spesso il risultato di attività criminali legate al contrabbando dei diamanti”, ha denunciato Rubbers.
Nella Guinea centrale, la gente abbandona i villaggi di fronte all’avanzata dei ribelli. La distruzione delle abitazioni e dei campi, e il furto di bestiame stanno diventando sempre più diffusi. I militari sono stati anche scoperti nei campi di accoglienza a impossessarsi degli alimenti destinati ai rifugiati. I profughi disponibili a ritornare nel paese di origine, beneficiano degli aiuti della Caritas della Guinea, in collaborazione con l’Alto Commissariato per i Rifugiati, la Croce Rossa Internazionale e il Programma Alimentare Mondiale dell’Onu. I profughi sono trasportati con battelli o camion verso Conakry, dove la Caritas ha aperto un campo che accoglie 3mila persone, durante il giorno. Un altro campo è di prossima apertura nella periferia della capitale
Nei giorni scorsi, l’Alto commissariato per i rifugiati ha inviato alcuni camion per portare circa 1000 profughi da un campo vicino a una zona di combattimenti fino a un’area più sicura nella Guinea centrale. Tuttavia, secondo i dipendenti dell’Alto commissariato, i camion si sono riempiti in poco tempo con molto più di 1000 persone. Quando hanno iniziato a partire, fino a 3mila altri rifugiati, terrorizzati per essere stati lasciati a morire, hanno iniziato a camminare lungo la strada.
Gli interventi dell’Alto commissariato per i rifugiati e delle organizzazioni umanitarie rischiano perciò spesso di diventare inutili, come denunciano i missionari Spiritani che lavorano con i profughi della Guinea: “Quelli che dovrebbero proporre soluzioni non sono presenti. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ha abbandonato tutti i campi dei rifugiati. Nella città di Conakry dicono di non avere l’incarico per intervenire. Allora non fanno niente: a Conakry decine di mezzi dell’Alto Commissariato continuano a circolare, consumano benzina per niente, ma non ci sono soldi per affrontare la soluzione dei rifugiati. Per le Organizzazioni non governative si verifica lo stesso. In precedenza gestivano l’assistenza umanitaria e ora sono scomparse. Si direbbe che tutte queste organizzazioni “umanitarie” pensano più ai loro salari, ai loro affari che ai rifugiati”.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.