Formazione

Guerre del mondo: aumenta il numero delle vittime civili

Un bilancio della situazione mondiale presentato dalla Caritas

di Gabriella Meroni

Aumentano le vittime civili dei numerosi conflitti che si combattono nel mondo. Costituiscono il 93% dei caduti in guerra. Uomini, donne e bambini che con la guerra non hanno niente a che fare. Solo in Iraq sono 100.000 le vittime civili dei combattimenti dall’inizio dell’occupazione. Ma non c’è solo l’Iraq. Anzi, la nuova ricerca promossa da Caritas Italiana con ?Famiglia Cristiana? e ?Il Regno? mette in luce la complessità dei conflitti di tutto il pianeta e il livello di attenzione dell’opinione pubblica. Ha per titolo ?Dai conflitti dimenticati alle guerre senza tempo?, uscirà i primi mesi del 2005, ma le anticipazioni sono state presentate venerdì a Roma, nella sede di Caritas Italiana. La ricerca sottolinea che, a fronte dei 19 conflitti armati ?di rilievo?, come li definisce una stringente categoria tecnica – Algeria, Burundi, Colombia, Filippine, India, Indonesia, Iraq, Israele-Palestina, Russia (Cecenia), Sudan, ecc. – si registrano violenze su ampia scala e un numero altissimo di vittime in molti altri paesi come Afghanistan, Rep. Dem. del Congo, Kenya, Nigeria, Pakistan. Il numero dei conflitti effettivi è dunque notevolmente più alto. Evidente la relazione fra conflitti armati e dinamiche di impoverimento. Lo dice l’alta percentuale di guerre che continuano ad esplodere nei Paesi in via di sviluppo. Il 90% dei conflitti nasce proprio in quei Paesi meno fortunati. Altre cifre dalla ricerca: 35,5 milioni di rifugiati, 300.000 minori impiegati in conflitti. Tra tanti dati preoccupanti, anche qualche barlume di speranza. È costituita dalle situazioni risolte o in netto miglioramento di paesi come Etiopia ed Eritrea, Guinea Bissau, Sierra Leone. La ricerca pone in rilievo l’espressione ?guerre infinite?, ovvero le cronicità dei conflitti, (all’interno dei quali diventa sempre più difficile distinguere le fasi di guerra da quelle di ?pace?), e diffusione nello spazio, a causa della violenza organizzata del terrorismo internazionale. A tre anni dalla precedente ricerca, le anticipazioni presentate ieri registrano una crescente attenzione all’argomento: i media ne parlano sempre più spesso. Nonostante questo non si può parlare di piena esposizione delle dinamiche di conflitto e di fine dei conflitti dimenticati. È parte della ricerca il sondaggio effettuato da SWG. Arrivano da lì le note più positive. Riguardano le risposte che il campione rappresentativo di italiani ha fornito: la guerra è un elemento evitabile (76%) e non esistono ?guerre giuste? (78%). Inoltre, tra le voci che più spesso si alzano in queste situazioni di crisi contro la guerra e contro l’ingiustizia, la maggioranza degli intervistati, il 42%, ha indicato il Papa e la Chiesa Cattolica, con 5 punti percentuali in più rispetto al 2001. L’80% sostiene poi che il ruolo dell’Onu dovrebbe essere potenziato, mentre il 91% ritiene che non ci siano Paesi al sicuro da attacchi terroristici. Quelli della ricerca sono riflessioni e dati inseriti in un percorso che ha visto da giovedì i circa 100 convegnisti impegnati in un confronto su ?Riconciliazione e giustizia?. P. Francesco De Luccia, Coordinatore del Settore Apostolato Sociale dei Gesuiti Italiani, ha affrontato, in apertura dei lavori, il rapporto tra fede e giustizia; di politica, logica di potenza ed esigenze di giustizia si è invece occupato, sempre giovedì, il prof. Vittorio Parsi dell’Università Cattolica di Milano; i diritti umani nella prospettiva internazionale sono stati il filo conduttore dell’intervento della professoressa Luisa Vierucci, ricercatrice in diritto internazionale. Venerdì, in mattinata si è parlato di giustizia sociale, nel corso di una Tavola rotonda a cui hanno preso parte i professori Mauro Magatti, dell’Università Cattolica di Milano; Consuelo Corradi, della Lumsa di Roma; Piero Fantozzi, dell’Università di Cosenza e Giancarlo Rovati, dell’Università Cattolica di Milano e presidente della Commissione nazionale Esclusione sociale. Insieme hanno approfondito il quadro emerso dal primo Dossier nazionale delle povertà nell’ambito del Progetto Rete di Caritas Italiana che collega i Centri di Ascolto e gli Osservatori delle Povertà e delle Risorse. Chi sono oggi i poveri in Italia? Disoccupati, emarginati, migranti, analfabeti. Ma anche diplomati, famiglie monoreddito con più figli, pensionati. Sempre più giovani e sempre più donne, soprattutto tra gli immigrati, che rappresentano i due terzi delle 11.696 persone che tra gennaio-marzo 2004 si sono rivolte ai Centri di Ascolto di 72 diocesi. Un panorama articolato che, proprio in nome della giustizia, esige efficaci strumenti di lotta alla povertà. Ma da sola, la giustizia non basta. «Può anzi arrivare a negare se stessa – ha evidenziato mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, ricordando i numerosi appelli in tal senso del Santo Padre – se non si apre a quella forza più profonda che è l’amore, la necessità del perdono, per risolvere i problemi sia dei singoli che dei popoli». E proprio perdono, riconciliazione e risposta al ?male sociale? sono stati gli argomenti che questa mattina ha affrontato il prof. Luciano Eusebi, dell’Università Cattolica di Milano. È seguito l’intervento di mons. Nozza, che ha indicato gli orientamenti e le azioni pastorali per il futuro. E ha lanciato la Campagna nazionale giustizia sociale ?Tra noi diritti negati? – attualmente in fase di studio – e rilanciato la Campagna internazionale sugli obiettivi di sviluppo del Millennio ?Obiettivo 2015: dimezzare la povertà nel mondo?. Si è chiuso così il convegno ?Riconciliazione e giustizia?, ma non il confronto e l’impegno su temi cruciali per il nostro mondo globalizzato, che ogni Caritas è chiamata a rilanciare a ad approfondire sul territorio, in fedeltà alla propria funzione pedagogica.


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