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GUERRA. Rapporto di Amnesty sul conflitto georgiano
L’organizzazione per i diritti umani ha analizzato le conseguenze dello scontro tra Georgia e Federazione Russa
Un anno dopo la guerra tra Georgia e Federazione Russa, migliaia di civili rimangono lontani dalle proprie case, con scarse prospettive di farvi rientro nel breve periodo. Insieme a molte altre persone che sono riuscite a tornare, condividono un futuro incerto. «Centinaia di migliaia di persone devono fronteggiare una nuova realtà creata dal conflitto e le autorità hanno la responsabilità di rendere questo tempo di transizione il meno duro possibile. Hanno anche il dovere di fornire giustizia e riparazione alle vittime», ha dichiarato Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa Centrale e Asia di Amnesty International, presentando un nuovo rapporto sulle conseguenze del conflitto tra Georgia e Federazione Russa, che l’organizzazione per i diritti umani ha redatto a un anno esatto dal suo inizio. «Le autorità di ambo le parti devono garantire il diritto degli sfollati a rientrare in condizioni di sicurezza e dignità e a controllare pienamente il proprio futuro».
La guerra scoppiata nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2008 causò la fuga di circa 192.000 persone, in larga parte di etnia georgiana. Dei 38.500 civili di etnia ossetina che lasciarono l’Ossezia del Sud per trovare riparo nella Federazione Russa, la maggior parte (salvo 4000) ha fatto rientro nel proprio territorio. Per quanto riguarda invece gli sfollati georgiani, 30.000 sono ancora lontani dalle proprie abitazioni; in particolare, 18.500 sfollati fuggiti dall’Ossezia del Sud e dal distretto di Akhalgori rischiano di esserlo ancora per molto tempo.
La maggior parte degli sfollati in Georgia ha ottenuto un risarcimento o una sistemazione alternativa, all’interno di 36 nuovi centri urbani o insediamenti rurali dotati di forniture e servizi essenziali. Il principale problema, hanno riferito ad Amnesty International, è l’isolamento di questi insediamenti, che rende difficile recarsi in ospedale o frequentare la scuola e, soprattutto, costringe alla dipendenza dagli aiuti umanitari.
Il rapporto di Amnesty International, intitolato «La popolazione civile e il post-conflitto: la guerra Georgia – Russia un anno dopo», descrive il clima di crescente tensione e sicurezza precaria nel quale i civili stanno cercando di ricostruire le proprie vite. Nessuno, sottolinea l’organizzazione per i diritti umani, è stato chiamato a rispondere delle numerose violazioni del diritto internazionale commesse durante il conflitto. Una grande sfida rimane quella della sicurezza in tutta la regione interessata dal conflitto. Alcune aree sono rimaste praticamente spopolate. Nelle aree confinanti con l’Ossezia del Sud, i georgiani che sono rientrati non hanno più accesso ai campi e ai frutteti, poichè quei territori sono ora amministrati dalle autorità ossetine o non sono stati ancora bonificati dagli ordigni inesplosi.
La mancanza di chiarezza sulla linea di demarcazione tra Georgia e Ossezia del Sud istituita dopo il conflitto è un’altra fonte di insicurezza. La situazione è resa più grave dalla ridotta capacità di monitoraggio internazionale dopo la chiusura della missione Osce-Onu. Gli unici osservatori internazionali presenti nella regione, quelli della missione dell’Unione europea, non possono entrare nelle aree controllate dalle autorità dell’Ossezia del Sud né nell’altro territorio secessionista
dell’Abkhazia. «Le autorità di tutte le parti coinvolte nel conflitto devono garantire la sicurezza di coloro che vivono nelle zone colpite dalla guerra di un anno fa e di coloro che fuggirono ma ora vogliono rientrare nelle proprie case. Preoccupazioni di natura politica non dovrebbero spingere le autorità a venir meno ai propri obblighi internazionali di garantire il rispetto dei diritti delle persone che si trovano sotto il loro controllo», ha precisato Duckworth.
Il rapporto di Amnesty International ricorda anche le ricerche effettuate dall’organizzazione per i diritti umani immediatamente dopo lo scoppio del conflitto, dalle quali emersero prove significative di crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità commessi durante e dopo le ostilità. Le forze georgiane non presero misure adeguate per proteggere la popolazione civile nel corso dell’attacco a Tskhinvali, nella notte tra il 7 e l’8 agosto, in cui morirono decine di persone. Le milizie ossetine saccheggiarono e distrussero abitazioni e altre proprietà in diversi villaggi dell’Ossezia del Sud a maggioranza georgiana. Le forze russe non intervennero adeguatamente per impedire queste azioni e, a loro volta, lanciarono attacchi aerei e di terra contro villaggi e città, in alcuni casi colpendo indiscriminatamente o deliberatamente obiettivi civili. Sia le forze georgiane che quelle russe fecero ricorso alle bombe a grappolo.
«A oggi, nessuno è stato sottoposto a processo né da parte georgiana né da parte russa, per le gravi violazioni delle norme internazionali e delle leggi nazionali commesse durante e subito dopo il conflitto», ha denunciato Duckworth, «La riconciliazione e una pace duratura non saranno possibili se non si farà luce sulle responsabilità e non si accerterà la verità».
Amnesty International chiede a tutte le parti coinvolte nel conflitto di prendere misure adeguate per avviare indagini rapide, indipendenti, complete e imparziali sulle denunce relative a crimini internazionali, crimini di guerra inclusi, commessi dalle proprie forze armate. Di fronte a prove evidenti, l’organizzazione sollecita procedimenti in linea con le norme internazionali sull’equità dei processi.
Il rapporto «Civilians in the aftermath of War: The Georgia – Russia conflict one year on» è disponibile online dal 7 agosto sul sito
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