Economia

Guerini: serve una politica dei beni comuni, del welfare, dell’ambiente e della cultura

L'intervento che il portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali ha fatto al seminario nazionale ai cui lavori sono intervenuti anche il sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Luigi Bobba, il sen. Stefano Lepri e i presidenti Menetti Legacoopsociali e De Crescenzo Agci Solidarietà

di Redazione

«La disciplina dell’impresa sociale deve essere un tassello di un progetto ampio per creare un’”Ecosistema” per le imprese sociali. Le politiche per la promozione dell’impresa sociale in Italia devono nascere da una lettura di scenario e dagli obiettivi da raggiungere: c’è bisogno di un disegno per una politica dei beni comuni, del welfare, dell’ambiente, della cultura».

Lo ha dichiarato Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali al seminario nazionale “Impresa sociale: presente e futuro” organizzato dall’Alleanza Cooperative Italiane Sociali un'occasione per presentare le proposte della cooperazione nel percorso di modifica della legislazione sull’impresa sociale. Ai lavori intervengono il sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali on.le Luigi Bobba, il sen. Stefano Lepri che hanno presentato alcune proposte di manutenzione normativa alla disciplina dell’impresa sociale e i presidenti Menetti Legacoopsociali e De Crescenzo Agci Solidarietà.

Sono circa 12.000 le cooperative sociali e i loro consorzi in Italia con oltre 365.000 occupati e più di 40.000 soci volontari, oltre il 90% è aderente alle organizzazioni dell’Alleanza. La cooperazione sociale è stata la prima e più diffusa impresa sociale a livello europeo. E proprio alla legge 381 del 1991 si sono rifatti in questi anni ricercatori, legislatori di altri Paesi dell’UE e la stessa Commissione Europea.

«C’è bisogno di un “ecosistema” basato sull’applicazione del principio di sussidiarietà che è come l’ossigeno nell’aria che respirano le imprese sociali – continua Guerini – La promozione delle imprese sociali deve essere incardinata in tutti i cantieri aperti: il Job Act e la Garanzia Giovani, la delega per la riforma fiscale, il recepimento delle nuove direttive appalti e concessioni, la nuova programmazione dei fondi europei 2014 – 2020, gli strumenti per attrarre finanziamenti privati da investire nel welfare attraverso strumenti finanziari dedicati (finanza d’impatto, social bond etc.)».

«La disciplina sull’impresa sociale deve essere modificata per consentire di rispondere alle sfide che l’Italia ha di fronte: sulla frontiera del welfare, le cure domiciliari per la non autosufficienza, l’integrazione socio-sanitaria, la riabilitazione, i servizi di sostegno alle famiglie, le tante esperienze di sanità leggera, che conducono ad un’idea di “salute” che si fonda sulla capacità di presa in carico delle fragilità. E poi per creare vera e buona occupazione bisogna puntare su chi, negli anni della crisi, ha dato buona prova di se: le cooperative sociali italiane sono state un motore occupazionale giovanile, femminile, di tutte le categorie di persone svantaggiate che hanno bisogno di assistenza per entrare nel mercato del lavoro».

«Per parlare efficacemente di sviluppo delle imprese sociali è necessario avere un “piano strategico per i beni comuni e beni collettivi". Molte sono le innovazioni in corso nel sistema della cooperazione sociale dell’Alleanza, come progetti per la riqualificazione urbana e territoriale, il turismo sociale e l’agricoltura sociale, le sperimentazioni di sviluppo locale, di recupero di mestieri, di rigenerazione di beni pubblici, della cultura immateriale, dei saperi».

«Sarebbe il momento di evolvere il dibattito sulle modalità di governance e di gestione dell’enorme patrimonio di beni pubblici e culturali del Paese. Tra le varie espressioni dell’innovazione sociale assume un crescente rilievo la rigenerazione di asset comunitari da parte di imprese sociali. La ristrutturazione di beni immobili e spazi pubblici da destinare a servizi sociali, iniziative culturali, alloggi protetti, turismo comunitario, rappresenta un’importante sfida sul piano della legittimazione di queste imprese».

«Si potrebbe consentire alle imprese sociali di ottenere in affidamento beni culturali e ambientali pubblici, in particolare fra i tanti non valorizzati e non aperti al pubblico, per rimetterli a disposizione di cittadini e visitatori, così che proprio con una gestione impostata in modo imprenditoriale diventino fattori di sviluppo locale e occasioni di occupazione qualificata. I beni comuni si tutelano probabilmente in modo più forte se portatori di interessi diversi sono fatti convergere dentro un progetto comune, una impresa sociale multistakeholder dove sia possibile una partecipazione significativa della comunità locale e delle istituzioni locali»

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