Politica

Guardavo Roma e pensavo a Bagdad

La voce di Alce Nero sul tema della guerra.

di Gino Girolomoni

Sul terrazzo dell?Hotel Senato, all?altezza della cupola del Pantheon, guardavo la città, la torre del Quirinale e quella di Montecitorio, l?altare della patria e il cupolone di San Pietro, e pensavo alla gente in giro per la città, nelle case, donne, vecchi, bambini. Immaginavo in mezzo a Roma i carrarmati, le bombe, i missili, i morti, i feriti, la fame, la paura come in quel momento avveniva in un?altra grande città. Pensavo alla popolazione civile che pagava per colpe non sue e all?idea che la libertà si possa portare con le bombe e i cannoni. Pensavo al nostro padre della patria, il generale Giuseppe Garibaldi, anche lui portava idee nuove con i cannoni, ma non a caso si ritirò a Caprera pentito. Così scrisse ad Adelaide Cairoli: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili… non farei oggi la via dell?Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”. Dopo quasi 150 anni, siamo ancora alle prese con i danni di un?unificazione fatta con i cannoni. Ma noi non impariamo mai, i generali hanno fame di medaglie, i costruttori di armi hanno bisogno di venderle, le imprese di ricostruire, e le popolazioni civili amanti della pace le prendono sempre da tutti: pallottole e bastonate.


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