“Con questa finanziaria il welfare è finito”. Tagliava corto il mio capo qualche giorno fa. Se lo choc petrolifero del ’73 aveva chiuso i “trenta gloriosi” del boom economico post bellico, la crisi attuale – ormai tutta sul groppone della finanza pubblica – rischia di mettere la parola fine al sistema di protezione sociale come l’abbiamo conosciuto, chi più e ahimé molti meno, negli ultimi decenni: universalistico, pubblico e redistributivo. Le profezie sui problemi del welfare giravano da un bel pò di tempo anche ben argomentate, ma i più recenti provvedimenti correttivi allo studio del governo, dopo aver speso le ultime fiches in ammortizzatori sociali, sembrano non lasciare scampo. I tagli agli enti locali, il vero il pezzo forte della manovra, riguarderanno in gran parte il welfare socio assistenziale. Ultimo arrivato dopo pensioni e sanità e che ha vissuto pure lui la sua golden age a partire dagli anni ’80 fino a circa la metà del decennio scorso quando, prima avvisaglia, venne tagliato il fondo nazionale per le politiche sociali. Ad inalberarsi ora sono soprattutto le amministrazioni territoriali: regioni e comuni soprattutto. Dal non profit, in particolare da quello produttivo, ancora poco o nulla. Può darsi che le proteste arriveranno anche da questo fronte, ma la reazione non immediata suona come una sorta di presa d’atto, frutto della consapevolezza che l’epilogo stava nelle cose, essendo alimentato da tendenze che la crisi ha semplicemente accelerato. Chi prima e meglio ha letto questo quadro evolutivo ha avuto un certo tempo (neanche poco a dire il vero) per cambiare registro rispetto allo schema classico che nel peggiore dei casi vedeva le imprese sociali in veste di epigoni delle esternalizzazioni della pubblica amministrazione, e nel migliore le rappresentava come attori capaci di esercitare una certa leadership nei sistemi di governance del welfare istituzionale. Il percorso di smarcamento è tutt’altro che semplice e soprattutto ben lontano dal concludersi: per qualcuno una vera e propria traversata nel deserto, pure senza guida. Eppure non si è soli. Basta guardare a quanto sta succedendo in settori neanche troppo distanti per trarre qualche utile insegnamento. Ad esempio, credo che un confronto tra coop sociali e ong potrebbe dare buoni frutti. Quelli della redazione mi hanno girato di straforo il resoconto di un Forum con le organizzazioni non governative organizzato da Vita. Non si legge alcun rimpianto per i tempi andati, quando il Mae (Ministero degli affari esteri) era il principale intorlocutore. C’è molta più propensione a trovare nuovi modelli di sostenibilità in grado di intercettare risorse di svariata natura e provenienza e di combinarle in progetti di medio / lungo periodo facendo leva su network non di rappresentanza ma di progetto. Da emulare.
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