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Economia solidale

Gruppi di acquisto solidale, cos’è cambiato in questi trent’anni?

Un bilancio di trent'anni di consumo critico, dai primi gruppi informali fino a oggi, in cui assume una pluralità di forme diverse. Ora come all'epoca, tuttavia, è necessario fare rete per creare un'alternativa al mercato tradizionale

di Veronica Rossi

Verdura ammassata tutta insieme su un tavolo

Nel 2024 i Gruppi di acquisto solidale – Gas compiono 30 anni, attraversando un’epoca di grandi cambiamenti sociali, economici e culturali. Ma come ha influito questo sulla loro evoluzione?

«Bisognerebbe prima di tutto capire come definiamo un Gas oggi», dice Jason Nardi, presidente della Rete italiana economia solidale – Ries. «In passato erano gruppi di singoli, famiglie e amici che informalmente si univano per creare una modalità nuova di rapportarsi con i produttori locali, fare patti e acquistare insieme, secondo dei valori condivisi. Oggi ci sono anche altri modi per comprare in modo responsabile, piccoli empori o foodcoop o realtà specializzate nella distribuzione online per esempio».

Non è facile, quindi, fare un conto complessivo di quanti gruppi ci siano attualmente in Italia, anche perché alcuni rimangono ancora realtà informali. «Se ne erano calcolati circa 3mila», afferma Nardi, «ma si dice che potrebbero essere almeno il doppio. Non è stato fatto un censimento effettivo, però sappiamo per esempio che nelle Regioni del Centro-nord Italia ce ne sono almeno un migliaio vivi e vegeti». Manca anche una ricognizione approfondita del rapporto dei Gas con i loro produttori, delle modalità con cui si organizzano e delle forme legali che prendono.

Nel tempo i vari gruppi si sono uniti in reti e circuiti più grandi, ma fanno fatica a proseguire nella forma originaria. «Chi faceva parte dei Gas 30 anni fa oggi ha trent’anni in più», commenta il presidente della Ries, «e nel frattempo le nuove generazioni hanno trovato modalità diverse di organizzarsi. L’accesso al cibo ben fatto e il rapporto coi produttori locali è considerato importante, ma l’impegno che si è disposti a mettere personalmente in campo è minore: la fascia di popolazione fino ai 40 anni fa lavori molto più precari e fatica ad avere una programmazione regolare come quella richiesta da un Gruppo di acquisto solidale».

Un altro cambiamento importante è dettato dall’ingresso nel circuito di nuovi prodotti – all’inizio erano più che altro alimentari – e di diverse modalità di acquisto, che fino a qualche anno fa non esistevano in Italia. Ha cominciato ad affermarsi, per esempio, il sistema delle Comunità a supporto dell’agricoltura – Csa, in cui un produttore è sostenuto, attraverso un accordo che prevede un finanziamento collettivo, da parte dei consumatori.

Alcuni Gas si sono evoluti verso forme più stabili e sono diventati associazioni o cooperative, come l’emporio di comunità Camilla a Bologna: in questo caso lo spazio che veniva utilizzato una volta alla settimana per la distribuzione è diventato un micro-mercato permanente, ma anche un luogo di incontro e di costruzione di comunità.

«Nel tempo si sono sviluppate alcune piattaforme online, come “L’alveare che dice si”», afferma Nardi, «che permettono a un singolo di comprare su internet e di andare ad acquistare in un luogo. Questo però fa scomparire o quasi la s di solidale: non c’è la conoscenza reciproca tra consumatori e produttori che produce comunità».

Uno dei grossi limiti dei Gas – che ancora permane – è la difficoltà di accesso da parte di chi ha redditi più bassi: di solito nei gruppi confluiscono persone di classe media. Oggigiorno, tuttavia, il problema è più sentito, perché ci sono sempre più famiglie in condizione di povertà. «Le diverse evoluzioni dei Gas stanno cercando di affrontare questo aspetto», commenta il presidente della Ries, «le Csa, per esempio, hanno sviluppato un modo per far contribuire ciascuno in proporzione a quello che ha, attraverso aste anonime o membership proporzionali alle fasce di reddito per accedere all’acquisto condiviso. Gli empori solidali, dal canto loro, hanno prezzi differenziati: chi può dà un pochino di più e così chi ha meno riesce ad acquistare a un prezzo ridotto».

Insomma, oggi il panorama degli acquisti etici e solidali è molto più differenziato rispetto a com’era trent’anni fa e viene da chiedersi se si possa ancora parlare di Gas in senso stretto. «C’è bisogno di ricreare una rete, perché quella che c’era si è un po’ persa nel tempo», conclude Nardi. «Oggi, però, c’è qualcosa che trent’anni fa non c’era: una rete nazionale dell’economia solidale che può accogliere tutte le pratiche diverse di relazione tra acquirenti attivi, coscienti e critici e i produttori che rispondono ai loro bisogno. Possono emergere circuiti locali territoriali, mercati contadini, foodcoop: insomma, meccanismi di distribuzione parallela e complementare rispetto alla grande distribuzione organizzata».

In apertura, Foto di Alexandr Podvalny su Unsplash


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