Cultura

Grubbs è tornato: voci e chitarre da esplorare

Recensione del disco Rickets & Scurvy di Grubbs

di Enrico Barbieri

Per non più di qualche secondo rumoreggia un aggeggio elettronico lasciato lì in capo al cd. Poi, batteria, un intreccio meraviglioso di chitarre, e si parte. «Are you ready?», domanda candido David Grubbs… Certo, tutti pronti: perché tessiture di chitarre e voce così fini non se ne sentono molte. Via allora con Rickets & Scurvy (Fat Cat Records), bell?album con cui l?americano Grubbs, ex Gastr del Sol, è tornato sulla scena. Dall?iniziale Transom, ogni brano cova, dentro una culla rock, il germe dell?avanguardia: nei pezzi del disco c?è insieme il passato elettro-folk di Grubbs e una musica esplorativa che, chissà perché, qualcuno continua ancora a chiamare post. In A Dream To Help Me Sleep s?affaccia discreto un pianoforte; The Nearer By and By ha un lontano profumo orientale, mentre Pinned to the spot è una delle vette dell?album, e riassume la raffinatezza del talentuoso songwriter: uno capace di generare un rock dalla sintassi solida, ma con una punteggiatura squisitamente disordinata. Così, con una serie d?alterazioni e inversioni di senso, si scombinano gli standard, s?oscurano le acque e il disco, torbido, prosegue verso il gran finale. Un interludio elettronico-rumorista accompagna l?ascolto fino al commovente pezzo d?addio del disco, Kentucky Karaoke: due frasi rinsecchite, trasportate a fatica dalla voce di Grubbs in uno scenario desertico. All?orizzonte, solo un piano e un sintetizzatore.


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