Volontariato

Grido di sangue

Torna a teatro una delle opere più drammatiche del grande scrittore. E' Orgia. Ma rispetto all’edizione originaria c’è qualcosa in più.

di Luca Doninelli

Questo settimanale non prevede una rubrica teatrale. E giustamente. Perché un giornale lo si fa con le notizie, non con i commenti. Ed è ben raro che uno spettacolo teatrale faccia notizia. O, se fa notizia, è perché qualcosa di estraneo – che so, l?intervento di un politico troppo zelante – è intervenuto.
Capita, però, che anche uno spettacolo teatrale possa fare notizia. Quando? Quando ci aiuta a guardare le cose in modo diverso, a demistificare, a liberarci dai malefici della cosiddetta ?informazione?.
È il caso di Orgia allestito da Valter Malosti al Teatro Litta di Milano.
Tutto può essere mistificato. Ossia masticato, cagato. Una società che si vuole forte deve saper masticare anche i sassi. Crollano le torri? Crolla la Borsa? Via, andare, correre, hop!
Abbiamo, mi pare, masticato ed espulso anche l?ultimo grande profeta della nostra letteratura, la più grande benedizione della cultura italiana del 900: Pier Paolo Pasolini. A quasi trent?anni dalla sua morte solitaria ma forse non disperata, non ancora disperata, non sufficientemente disperata per potersi dire disperata, ebbene: a quasi trent?anni dalla sua morte, adesso siamo tutti pasoliniani.
Lo citiamo, lo sottolineiamo, lo esibiamo come un jolly ogni volta che ci si presenta la necessità di aver ragione. Ci diciamo pasoliniani anche se poi siamo veltroniani, cofferatiani, dalemiani, persino berlusconiani, non dico morettiani perché sono sicuro che la storia del Nanni Moretti ?politico? è qualcosa di unico e bizzarro, e somiglia molto a uno dei suoi film.
Il fatto è che Pasolini è diventato un discorso. Una cosa che si può ripetere. Mentre lui volle essere un?altra cosa, e quest?altra cosa rischia oggi la sepoltura, la cementificazione.
Valter Malosti, però, non ci sta. È una persona timida e gentile, Malosti, ma con le idee chiare. E i polmoni forti, perché recitare Pasolini significa due cose: o mistificarlo o respirarlo. O fare un?altra cosa, e allora vabbè; o fare quella cosa, e allora sono dolori.
Nello spettacolo di Malosti, sostenuto da una giovane, grande attrice come Michela Cescon, accade questo, che Pasolini torna – lui! – sulla scena per dirci personalmente, senza interposta persona, quello che ha sempre detto e che l?ha portato alla morte.
Ma l?attore, obietterete voi, ?è? un?interposta persona.
No. L?arte del vero attore (come del vero scrittore) è quella di togliersi di mezzo. Il guaio è che, a teatro, togliersi di mezzo significa assumersi il testo fino in fondo, con una responsabilità totale, senza riserve, senza sponde. Malosti, la Cescon e la Coli, i tre eccellenti attori, creano eroicamente (Malosti e la Coli sfidano per questo nudità e travestimento) il vuoto attraverso il quale Pasolini torna a parlare e dare scandalo.
Scandalo innanzitutto perché Pasolini (a differenza dell?intellettuale moderno) non rinuncia al proprio corpo. La sua analisi del mondo contemporaneo non vivacchia su schemi ideologici, ma affronta le contraddizioni del mondo come contraddizioni proprie, scontate nella carne e nelle ossa. È infatti fin troppo evidente che la coppia borghese sadomaso, protagonista del testo, non è che una rappresentazione ironica del proprio corpo, costretto di giorno alla finzione della civiltà borghese e di notte assetato di corpi giovani, rimasuglio sconcio e informe della sacralità che proprio il mondo borghese ha frantumato.
Prefigurazione della propria morte, Orgia è una chiamata a correo del mondo intero (anzi: di questo mondo, costruito da noi) per un omicidio ancora non consumato ma già ben presente nella ?logica delle cose?. L?intellettuale di oggi, pasoliniano o no, parla da un pulpito di virtuale eternità. Pasolini conobbe invece, parola per parola, attimo per attimo, la propria lacerazione fisica e intellettuale. Previde la propria morte, vivendo negli anni dentro lo spazio tra quella previsione e la sua realizzazione definitiva.
Ascoltare la sua voce autentica, come in questa eccezionale edizione di Orgia, vuol dire ascoltarlo mentre parla di noi, di me. Nessuno, nel 900, è stato come lui. Qualche santo, forse. Ma nessun intellettuale.

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