Mondo

Grido a Sarajevo

Roberta Bigiarelli è un'attrice appassionata. Quattro anni fa ha scritto un testo teatrale dedicato alla tragica strage di Srebrenica. (di Francesca Giorgetti).

di Redazione

Sono nata in un paese davanti al mare? Cosa c?è dall?altra parte?». Dall?altra parte del mare c?è gente come noi, c?è una guerra. Comincia così il testo teatrale A come Srebrenica, scritto da Giovanna Giovannozzi e Roberta Biagiarelli, attrice, che lo porta in scena da quasi 4 anni con la regia di Simona Gonella. Tre giovani donne e una storia. Una di quelle che non si dovrebbero dimenticare: un massacro di 12mila civili compiuto tra il 9 e il 25 luglio 1995, quando l?armata serbo-bosniaca e i miliziani di Raznjatovi, Arkan e Vojislavelj entrano nella città e stuprano, mutilano, uccidono, seppelliscono dei vivi. Prima, tre anni di assedio. Dopo, i patti di Dayton. Srebrenica è l?inizio, la lettera A da cui ripartire. Roberta Biagiarelli ha scelto il suo personale ?aleph?: da sola per un?ora e mezzo sul palco racconta una storia attraverso i gesti della quotidianità impazzita. I rituali sono quelli di tutti i giorni: il bambino da cullare, il caffè da preparare, i vicini di casa. E intanto, le avvisaglie della guerra; le montature dei media che fabbricano il terrore di un popolo contro l?altro. Le prime pulizie etniche, le occupazioni delle case. E poi lo scoppio del conflitto, l?intervento inutile dell?Onu, la creazione di ?Srebrenica zona protetta?. I cecchini, le fosse comuni, le incursioni notturne. Parole di orrore che una gestualità insistita rende spaventosamente vicine e inaccettabili, imprimendole nella mente. L?11 luglio Roberta Biagiarelli ha portato il suo monologo a Sarajevo. Una tappa importante, uno degli ideali punti di arrivo di una vicenda iniziata nel 1997. A Srebrenica Roberta, attrice formatasi con il Teatro Settimo di Torino di Gabriele Vacis, ci è arrivata per caso. Si è imbattuta nel libro del giornalista Luca Rastello La guerra in casa. «Un capitolo, Gli angeli, racconta la storia di Srebrenica», racconta a Vita. «Ho provato subito un forte senso di colpa: non ne sapevo niente. Allora ho deciso di usare il teatro per raccontare una storia vera, per informare i milioni di persone che come me ne erano all?oscuro». La storica Giovanna Giovannozzi ricostruisce i tre anni di assedio, il massacro finale, i capi di imputazione al Tribunale dell?Aja. Roberta e Simona Gonella trasportano i fatti dentro un?umanità, li rendono raccontabili: «Ci siamo immerse completamente nella storia dei Balcani, attraverso i libri e i racconti dei profughi rifugiatisi in Italia», racconta l?attrice. Profughi che non vogliono sentire, non vogliono parlare. Le prime reazioni sono di pianto e rabbia: «Poi mi hanno cercata loro, per raccontare». Nel 1998 nasce il primo copione, che viene continuamente trasformato sul campo. «Lo portavo in scena e cercavo di capire cosa andasse bene e cosa no. È stato uno spettacolo in progress, con la necessità ogni volta di aggiustare il tiro, di prendere sempre meglio la mira. Senza arrivare mai in fondo, perché il teatro è sempre qui e ora». Un testo che Roberta crea, promuove, porta in viaggio, con finanziamenti minimi e la coproduzione del Settimo di Torino. A come Srebrenica gira tutta l?Italia, in teatri piccoli e grandi, piazze, centri sociali, carceri, scuole superiori, associazioni, parrocchie. E ogni volta, il tam tam funziona. «Ovunque lo facessi, immediatamente avevo venduto una replica: l?ho portato anche in Spagna, a Madrid e al Festival di Sitges di Barcellona». La gente risponde. «I profughi si commuovono: tanti mi dicono che le cose sono andate proprio in quel modo». Il pubblico italiano ne è agghiacciato, dice Roberta: «Prima pensano sia un metafora, poi si rendono conto che è tutto vero e che poteva accadere ovunque, anche nelle nostre case. Lo spettacolo funziona molto bene con gli adolescenti, che mi seguono e mi scrivono. Quando lo porto nelle associazioni, poi, le sale scoppiano: sono costretta a raddoppiare le repliche». Roberta è stata di recente invitata dall?Ipsia, ong delle Acli, nell?ambito di un corso di formazione per volontari in Bosnia. «È stato il processo naturale delle cose», commenta. «Questo è più di uno spettacolo per me: è un lavoro quasi formativo, per educare le persone a un tipo di ascolto e di percezione che va oltre Srebrenica. È il senso del mio mestiere di attrice: essere sempre più calata dentro la società, vedere e mostrare la realtà che mi circonda». A Srebrenica, Roberta va per la prima volta lo scorso ottobre. La trova esattamente come l?aveva costruita con il teatro. «Era una città di minatori e acque termali, un po? come Montecatini», racconta. «Ora è distrutta: case bruciate occupate da profughi serbi che vengono da altri luoghi, in attesa di qualcosa che deve arrivare. Intanto, i profughi bosniaci sfollati in Europa hanno paura a tornare nelle loro case e molti bambini vivono grazie a donazioni di famiglie europee». Dal punto di vista etnico la situazione è molto tesa: Roberta racconta di bambini bosniaci picchiati a scuola e costretti a fare chilometri per andare a studiare in Bosnia. Non molto lontano, a Tuzla, ci sono le vedove di Srebrenica. Donne che hanno vissuto un assedio, dei lutti, profughe. Chiedono giustizia. «Sono persone distrutte, fantasmi chiusi nel loro dolore», dice Roberta. «Manifestano tutti i mesi». Intanto, due dei principali responsabili dei fatti, Radovan Karadzic e Ratko Mladic, all?epoca rispettivamente presidente dell?autoproclamata Repubblica serba di Bosnia e comandante dell?esercito serbo-bosniaco, sono latitanti. A Srebrenica, come in tutta la Bosnia, la presenza delle organizzazioni di volontariato è vitale. «Il legame con alcune regioni e città italiane è molto forte» aggiunge Roberta. «Ad esempio, le ambasciate per la democrazia locali, dirette da italiani, forniscono strumenti pratici e formativi alla popolazione del posto. Ci sono anche associazioni, come l?Ufficio per la pace del Comune di Alba, che stanziano fondi per la formazione di giovani volontari». Intanto, anche il progetto di Roberta continua. Lo spettacolo arriva il 15 luglio a Bologna. In autunno, dovrebbe arrivare al Teatro Verdi di Milano. «Mi piacerebbe metterlo in scena tutti i lunedì, accompagnato da incontri a tema sulla cultura balcanica». Ma senza fermarsi: la tournée riparte a ottobre. «Il mio obiettivo? È tradurre A come Srebrenica in tutte le lingue dell?Europa e farla conoscere sempre di più a livello internazionale». Il viaggio è appena iniziato. di Francesca Giorgetti


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