Cultura

Grideremo. Ma non in piazza

Genova, chi non ci sarà. Giorgio Vittadini, leader Cdo, spiega la sua posizione

di Giuseppe Frangi

È una sorpresa incontrare un tipo appassionato e battagliero come Giorgio Vittadini, e vederlo per una volta indossare i panni del pompiere. Ma questa volta è proprio così: il presidente della Compagnia delle opere, un paio di settimane fa, aveva bollato come “borghese” la rivolta del popolo di Seattle. Ora non smentisce, ma getta acqua sul fuoco. La polemica suscitata dalla sua battuta, dice, è molto strumentale. E nasconde il contenuto vero e assai più conciliante del suo punto di vista. «Volevo dire che oggi l'unico modo di operare davvero a favore del Terzo mondo è quello cattolico. Il Papa lo ha dimostrato di persona, attaccando l'egoismo dell?Occidente nei maggiori consessi internazionali. E la Conferenza episcopale italiana è tra i maggiori finanziatori dei progetti nei Paesi poveri, dove spende la maggior parte dei contributi provenienti dall?8 per mille».

Vita: Ma se sono così le cose, perché sabato 7 non eravate a Genova con tutti i cattolici?

Giorgio Vittadini: Per un semplice malinteso. La Cdo non è un organismo ecclesiale e quindi non ha avuto l'invito. Quanto a Comunione e liberazione, so che quell'invito non è arrivato per un disguido. Comunque molti di noi erano presenti. La scelta di andare a Genova 15 giorni prima mi è sembrata intelligente e costruttiva. Così invece di mettere a tema le questioni folkloristiche o di ordine pubblico, si sono potute mettere sul tappeto le questioni vere. Il fronte infracattolico è davvero unito su tutto. Davvero percepisco un clima nuovo, costruttivo sulle cose. E anche sul giudizio di fondo che questa Europa fondata sul mercantilismo e non sugli ideali, ha tradito se stessa e ha fallito.

Vita: E perché invece pensa che essere a Genova i giorni del G8 sia inutile?

Vittadini: Perché mi interessa più porre una speranza oggi che domani. Mi spiego: condivido le domande che emergono dal fronte anti G8. Però voglio tentare delle risposte diverse dal semplice andare in piazza.

Vita: Per esempio?

Vittadini: L'incontro che aprirà il Meeting di Rimini, quest'anno ad agosto. Abbiamo invitato padre Giuseppe Berton, missionario saveriano, che lavora con i bambini soldato in Sierra Leone. Un personaggio impressionante, perché non solo salva questi bambini, ma si preoccupa di dare loro un futuro, insegnandogli un lavoro. è una storia che costruisce una speranza, concreta, reale, già possibile oggi. Il mio giudizio sul disequilibrio tra mondo ricco e mondo povero, se si vuole, è ancora più feroce di quello del popolo di Seattle. è quello del Papa che parla da anni di ?scambio ineguale?. O quello di Paolo VI, che aveva capito subito che il vero nome della pace è lo sviluppo.

Vita: Ma non è una cosa in contrapposizione con l'andare a Genova?

Vittadini: Non lo è. Ma io dico che esiste un'unità a livello di esperienze di base, che è più interessante e produttiva di ogni protesta. Noi vogliamo lavorare su quel primo livello. Perché è un livello che fornisce già oggi delle risposte e non le rimanda a un domani.

Vita: Però a Roma, al Giubileo dei giovani ci siete andati?

Vittadini: Sì, ma anche quel raduno con il Papa se non diventa pratica e continuità nel quotidiano, finisce per non essere costruttivo. Non basta contare le truppe, bisogna che l'assumersi responsabilità educative abbia un seguito.

Vita: In occasione della guerra del Kosovo vi eravate schierati contro l'intervento Nato. Ora invece siete più guardinghi. Non c'entra il fatto che c'è Berlusconi al governo e volete creare minor disturbo?

Vittadini: Non è così. Il governo Berlusconi lo attendiamo al varco delle due nostre proposte di legge sul non profit. Poi giudicheremo. Per intanto ci diciamo soddisfatti per il no alla riforma dei cicli e preoccupati invece per la legge sul lavoro a termine. Non è questo il modo di affrontare la riforma del collocamento: così si creano le premesse per un neo caporalato. E poi sono preoccupato anche per l'attacco che si sta preparando al mondo cooperativo.

Vita: Settimana scorsa, intervistato da Avvenire, Achille Ardigò ha fatto una disamina impietosa del non profit italiano. Ha detto che ha una mentalità sempre più profit?

Vittadini: Mi sembra la solita tentazione di chi preferisce essere puro, anche se poi non conta niente. Invece il non profit in Italia è destinatario degli interessi dei ceti più indifesi. E questi interessi vanno protetti da una posizione di forza, anche economica. Se sono forti sono un servizio alla comunità, altrimenti sono carri al traino di altri interessi. Invece bisogna riscoprire quest?identità del privato sociale, che è sempre stata così importante nella nostra storia. E che invece da più di un secolo a questa parte deve sempre battere in ritirata. E si capisce anche perché.

Vita: Perché?

Vittadini: Dà fastidio ai privati-privati. Basta guardare l'ostilità di Confindustria verso il non profit. Lo bolla come concorrenza sleale al mercato. Lo vorrebbero ridotto a gamba residuale del sistema. Sono interessati alle privatizzazioni e temono le azioni di disturbo di chi, senza esserne contrario, chiede solo che venga tutelato l?interesse dei destinatari: basti pensare a quanto sta accadendo per le farmacie comunali di Milano, cedute a una multinazionale senza tener conto della loro funzione di pubblica utilità. E anche l?offensiva contro le fondazioni bancarie va nella stessa direzione. Si vuole limitarne l?autonomia nella gestione del patrimonio, per frenare in ultima analisi la crescita del non profit in Italia.

Vita: Tornando al dibattito sorto sul G8: non le sembra che la caduta del comunismo abbia acceso speranze andate poi deluse?

Vittadini: Sono sempre stato contrario a una visione trionfalistica dell?89. Il cambiamento di una struttura non cambia l?uomo. Anzi, è più facile vivere un?opposizione che costruire un'identità: basti pensare alla fine che hanno fatto esperienze sindacali mitiche come Solidarnosc o la Clat in Sud America. Comunque, questa domanda mi porta a raccomandare più attenzione verso l'Est. Ci sono zone dell?ex Unione sovietica disastrate a livello inimmaginabile dal punto di vista sociale e umano. Ho in mente il Kazakistan, per esempio. Me ne parla spesso un amico prete, finito lì da Buccinasco, vicino a Milano. Quando ascolto i suoi racconti resto impressionato, perché da una parte non si può immaginare che situazione ha trovato, ma dall?altra si capisce quanto la semplice condivisione possa ricostruire la speranza. Succede sempre così quando, come ha scritto don Giussani, l?attenzione all?altro «diventa imitazione nel tempo del mistero infinito della misericordia di Dio».


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