Per capire cosa si muove nella testa e nell’animo di
Pietro Greppi (nella foto),
esperto di comunicazione pubblicitaria, bisogna andare a trovarlo personalmente nella sua abitazione, tra le colline astigiane. In passato lo abbiamo fatto, per intervistarlo sulla nascita di
Scarp de’ tenis -rivista da lui fondata nel 1994, con lo scopo di
dare voce al popolo dei barbun. Ne abbiamo tratto questa impressione: il suo
buen retiro collinare non è un eremo, bensì un luogo privilegiato nel quale prendono forma le sue idee su una
società buona, fondata sull’altruismo e sul rispetto del prossimo. Sembrerebbero pensieri da idealista, lontani anni luce dalla frenesia consumistica in cui tutti viviamo. La sfida di Greppi, invece, consiste proprio in questo: far capire ai manager delle imprese, delle industrie, delle agenzie che possono fare profitto seguendo determinati paradigmi etici.
La pubblicità, si sa, è l’anima del commercio. Ma chi l’ha detto che per conquistare nuovi clienti bisogna per forza prenderli per il naso, porgendo loro dei messaggi distorti, ambigui, diseducativi? Che l’unico modo per far quattrini sia fregare il consumatore, approfittando della sua sprovvedutezza, è un errore di valutazione gravissimo, che ha già prodotto negli anni un mucchio di danni –in alcuni casi, purtroppo, irreparabili. Ma non tutto è perduto, per fortuna: Greppi, nella sua veste di ethical advisor, è pronto a girare l’Italia con un seminario di mezza giornata (vedi allegato), per dare dei suggerimenti molto precisi su come curare l’aspetto comunicativo nel commercio. Per il momento questo tour è solo una proposta che ha lanciato. Sarebbe il caso, però, che in tanti raccogliessero questo suo invito, perché la sua esperienza pluridecennale nel settore è una risorsa utilissima, assolutamente da prendere al volo.
Perché è utile la consulenza dell’ethic advisor?
«È una figura professionale in grado di far comprendere alle imprese, alle industrie, alle agenzie che la loro comunicazione deve basarsi su alcuni paradigmi etici fondamentali, irrinunciabili. Ethic advisor è il nome di questa mia attività che porto avanti da alcuni anni, ma l’idea che l’etica non sia affatto un corollario degli affari, bensì un elemento fondamentale per fare business, mi ha sempre accompagnato».
Il capitalismo moderno sembra orientato solo al profitto immediato, ha perso quello spirito “ascetico” predicato da Max Weber.
«Esatto. È una visione molto miope, rischiosissima. Se ci si pone come unico obiettivo il fatturato, viene meno la cosa più importante, ovvero rispettare l’interlocutore, esprimendosi in maniera chiara, trasparente, sincera. Esempio: quando un’azienda alimentare propone delle merendine come alimento tipico degli sportivi –pagando anche profumatamente degli atleti per veicolare questo messaggio- semplicemente deforma la realtà. Lo fa per accattivarsi il pubblico –soprattutto quello più giovane, che crede facilmente a queste fandonie- lasciando però delle tracce molto negative, perché poi chi ascolta il più delle volte non ha gli strumenti culturali per approfondire».
Altri esempi di pubblicità ingannevole?
«Ti faccio un esempio che in sé non è gravissimo, ma sommato a molti altri diventa un fenomeno preoccupante. La pubblicità del Mulino Bianco con Banderas come testimonial è ingannevole in questo senso: mostra una macina delle olive, rotonda, anziché la macina della farina che è piatta. Siccome la macina delle olive è più scenografica, allora hanno scelto questa come simbolo. Ora, è chiaro che stiamo parlando di una cosa banale, però tu fai la somma di quanti inganni di questo tipo vengono perpetrati quotidianamente dai pubblicitari, e capirai che non è affatto una cosa bella».
Ma come si fa a convincere un’azienda che dovrebbe fondarsi su paradigmi etici?
«Facendo capire che l’etica nella comunicazione può apportare loro enormi vantaggi anche in termini economici. Se tu come azienda crei i presupposti per un beneficio culturale del tuo interlocutore, non avrai più bisogno di sedurlo con le raccolte punti o i pupazzetti in omaggio. Se tu ti mostri rispettoso nei confronti dell’intelligenza delle persone, avranno stima nei tuoi confronti perché ti sei costruito un brand da persona onesta e affidabile».
Ti piacerebbe portare l’ethical tour nelle scuole?
«Mi piacerebbe molto, ma non sono ancora riuscito a intrecciare contatti in questo senso. Un seminario di questo tipo servirebbe non solo nelle scuole primarie, ma anche per gli studenti di scienze della comunicazione. Insomma, io vorrei che questa mia “tournée” venisse ospitata in quanti più luoghi possibile della penisola».
Quali tappe sono previste al momento?
«Sto lavorando per riuscire a farne uno a Milano e uno a Venezia, e siamo a buon punto. Poi sto cercando di portarlo dalle parti di Torino. Non è facilissimo creare un interesse attorno a questi eventi, anche perché la parola etica oggi è in bocca un po’ a tutti: ciascuno ha un’opinione diversa, il più delle volte confusa sull’argomento».
Speriamo che il tuo sia un Never Ending Tour, come quelli di Bob Dylan.
«Tu parli di Bob Dylan, dandomi un assist: questi miei seminari potrebbero funzionare ancora meglio se riuscissi a trasformarli in spettacoli. È evidente che se riesci a far divertire l’ascoltatore il messaggio passa di più».
Quali sono le letture, i riferimenti culturali che hanno ispirato questo tuo percorso?
«Bauman prima di tutti. Per me è come un faro, mi piace la sua limpidezza di pensiero, lo stimolo costante nel farci capire quanto la nostra società sia inconsapevole della propria follia. Mi piacerebbe anche averlo come partner nei miei seminari: vorrei che mi rubasse la scena, farei spiegare a lui le idee che io butto sul tavolo».
Concludiamo con Sanremo. Fazio e Littizzetto che all’Ariston parlano del sociale fanno etica della comunicazione?
«Il problema è che non sono credibili: se lo facessero gratuitamente e in contesti diversi da Sanremo avrebbe un senso, ma in una cornice simile è evidente che lo fanno solo per conquistare ascolti. Tra l’altro, non vorrei addentrarmi in una disamina televisiva, ma credo che il calo degli ascolti sia dovuto anche al fatto che il pubblico li percepisce come falsi, retorici. Come è falso e retorico lo strepitare di Grillo, che bercia imitando Bossi. Tutto questo non ha niente a che fare con l’etica della comunicazione».
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