Sostenibilità
Greenwashing, la tentazione delle aziende
La sostenibilità non è più solo una moda, ma è diventata un vero e proprio strumento di competitività per le aziende, sempre più richiesta dagli investitori italiani e stranieri. Le imprese però devono far attenzione a non dare informazioni false o parzialmente vere per avvantaggiarsi sul mercato, pena la perdita della reputazione e quindi un danno economico. Di questi temi parla Aldo Bolognini Cobianchi nel suo libro "Comunicare la sostenibilità. Oltre il greenwashing"
Oggi essere sostenibili per le aziende non è solo una questione di moda. Consumatori e stakeholder chiedono alle imprese sempre più garanzie su lavoro e prodotti, perché siano buoni per l’ambiente e per le persone. Ma come si può comunicare in maniera efficace questo impegno, senza cadere nella tentazione di fare dichiarazioni grandiose, non corrispondenti al vero? L’abbiamo chiesto a Aldo Bolognini Cobianchi, giornalista finanziario da oltre trent’anni, che quest’anno ha pubblicato con Hoepli il libro "Comunicare la sostenibilità. Oltre il Greenwashing".
Per prima cosa, qual è l’esigenza da cui nasce questo libro?
Più che di esigenza, possiamo parlare di opportunità. Io mi occupo di finanza da tanto tempo e da qualche anno ho iniziato a notare che ci sono sempre più fondi in questo ambito; alle aziende viene richiesto di essere sostenibili sui fronti ESG, cioè dal punto di vista ambientale, sociale e della governance. Io insegno scienze della comunicazione all’Università statale di Milano dal 2016 e, analizzando il trend, mi sono detto che questo è uno degli elementi più importanti della comunicazione del prossimo futuro. Mi sono reso conto che non c’erano libri aggiornati che parlassero di questo argomento, così ho proposto di scriverne uno io a Hoepli, che ha accettato di buon grado; mi sono preso un anno sabbatico dall’Università, per dedicare il mio tempo libero alle ricerche e alla scrittura. Mi è piaciuto farlo: ho scoperto alcune cose che non sapevo e, tutto sommato, sono soddisfatto del risultato che ho ottenuto.
Veniamo all’argomento del libro. Come si comunica la sostenibilità?
Per prima cosa bisogna conoscerla; sembra un concetto banale, ma non lo è. Poi, se parliamo di aziende, ci deve essere una forte consapevolezza a livello di management; lo strumento più indicato per parlare di questi argomenti è il rapporto di sostenibilità, in cui viene fatta una fotografia di com’è l’azienda al momento attuale e di quelli che sono gli obiettivi da raggiungere anno per anno. Le grandi imprese già avviate non possono essere sostenibili in partenza: diventarlo è un progetto che richiede tempo e coinvolge tutta la filiera produttiva.
Cos’è invece il Greenwashing?
Si tratta di una comunicazione falsa o parzialmente vera, che un’azienda fa per sembrare sostenibile quando in realtà non lo è. Faccio l’esempio di due realtà italiane, che cito nel libro. Quando, qualche anno fa, è scoppiato il caso dell’olio di palma, la Ferrero ha ammesso di utilizzare questo ingrediente, ma ha dato avvio a una campagna in cui ha presentato la documentazione che provava che l’olio impiegato nei suoi stabilimenti proveniva da una filiera sostenibile; ha fornito, inoltre, una serie di dati che dimostravano che i quantitativi contenuti nei suoi dolciumi non erano pericolosi per la salute. Un’altra impresa produttrice di biscotti, invece, ha dichiarato di utilizzare olio di palma da coltivazioni sostenibili in Malesia e di avere in corso un progetto di rimboschimento. Peccato che poi gli ecologisti siano riusciti ad avere delle foto delle piantagioni, che hanno evidenziato in maniera chiara il contrario. Da tutta questa faccenda, quindi, Ferrero, che ha comunicato dati corretti, non ha avuto alcun danno, mentre l’altra azienda ha avuto un colpo enorme in termini di reputazione, quindi anche in termini economici: oggi, con l’avvento dei Social, le informazioni passano e i clienti sono molto più attenti.
Ma non ci sono ripercussioni dal punto di vista legale.
Non esiste ancora una legge che definisca cosa sia sostenibile né una norma che condanni chi si definisce tale senza esserlo per davvero. Al massimo, chi fa greenwashing può essere accusato di pubblicità ingannevole, come un’azienda produttrice di acqua minerale, che nel 2011 è stata multata perché in una campagna pubblicitaria sosteneva che le sue bottiglie fossero a impatto zero.
Ma allora, chi è che stabilisce se un’azienda è sostenibile o meno?
Per le aziende quotate di maggiori dimensioni le società di rating danno una valutazione specifica in merito alla sostenibilità, però una piccola o media impresa potrebbe avere difficoltà ad accedere a questi servizi, perché hanno un costo elevato. Bisognerebbe avere una normativa, ma non a livello italiano, a livello internazionale.
Da chi dipende, quindi, la sostenibilità di un’azienda?
Dalle aziende stesse e dai singoli uomini che ci lavorano. La governance di un’impresa dipende anche dalle persone che la guidano: sicuramente alcune ci credono davvero, altre meno, ma di certo si stanno rendendo tutti conto che non è più solo una moda, ma un vero e proprio strumento per essere competitivi sul mercato: un amico imprenditore, titolare di un’azienda che produce etichette, mi ha raccontato che i suoi clienti lo chiamano per chiedergli quale sia il suo grado di sostenibilità. Non è il solo a cui succede: nessuno vuole dei fornitori che non siano sostenibili, perché questo andrebbe a impattare negativamente sulla reputation di tutta la filiera produttiva.
Photo by engin akyurt on Unsplash
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.