Sostenibilità

Green, ma solo di nome

Il ministro Brambilla lo incentiva, gli ambientalisti lo osteggiano

di Redazione

Che il rilancio del turismo italiano passasse (anche) per i campi da golf se lo aspettavano in pochi. È toccato al ministro Michela Vittoria Brambilla spiegarcelo, attraverso un provvedimento di legge, uno schema di decreto legislativo varato il 16 aprile dal Consiglio dei ministri, che prevede una serie di «incentivi per l’imprenditoria privata affinché investa in questo settore. L’obiettivo è la costruzione di campi da golf all’interno di investimenti immobiliari e strutture ricettive», anche all’interno di aree con vincoli paesaggistici, come ha spiegato lo stesso ministro. Che ha anche snocciolato una serie di dati. Primo fra tutti: il turista che sceglie il golf spende in media circa 90 euro al giorno, contro i 53,83 euro della spesa media quotidiana dei turisti nel nostro Paese. Tradotto: attrarre turisti amanti delle buche significa portare persone con alta capacità di spesa. Generare cioè turismo ad alto valore aggiunto: «Il turismo di massa, il turismo fai da te non attiva un alto potenziale di economia», conferma Carmen Bizzarri, docente di Economia del turismo all’Università La Sapienza, «mentre quello di lusso muove un circuito economico virtuoso, servizi di qualità, un’economia più vivace».

Obiettivo resort
Numeri alla mano, quindi, non c’è che da sperare che si mettano le ali a questo mondo. Ma ci sono dei però. Innanzitutto l’impatto ambientale. «È un tipo di turismo che va pianificato, bisogna valutare l’impatto ambientale, il rapporto costi-benefici», dice Bizzarri. Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente, è molto più tranchant: «Mi sembra evidente che ci sia una chiara intenzione speculativa, è dichiarato nella bozza di disegno di legge, laddove si parla esplicitamente di facilitazione di costruzione di strutture ricettive al servizio dei campi da golf», attacca. «In Italia i campi sono sempre nati per costruire residence e club house. E non mi pare che laddove i campi sono stati costruiti ci sia stato tutto questo impulso al settore del turismo».
E sebbene Franco Chimenti, presidente della Federazione italiana golf, affermi che «la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione dei campi di golf non possono non ispirarsi al rispetto del territorio, dell’ambiente e del paesaggio, un patrimonio che rappresenta la nostra più grande risorsa collettiva», i precedenti non sono incoraggianti, visto che in molti dei 384 golf club sparsi in giro per l’Italia i progetti si sono portati dietro contenziosi, polemiche, inchieste penali e procedimenti civili, legati proprio alle violazioni ambientali. È recente il megarisarcimento di 4,5 milioni imposto dal Tribunale a Paolo Berlusconi per l’«irreversibile modifica dell’intero patrimonio idrogeofaunistico» causata dal suo Golf Club a Tolcinasco, nel milanese. Il progetto di resort golfistico tra le dune di Is Arenas, costa occidentale della Sardegna, si è guadagnato una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea, con l’accusa di «violazione della direttiva europea 92/43/Cee relativa alla conservazione degli habitat della flora e fauna selvatiche».

Buche a Mezzogiorno
Più a sud, è tuttora in corso il processo all’ex amministratore delegato della Sir Rocco Forte Hotel, Moreno Occhiolini e al progettista Domenico Baudille. L’accusa? Reati ambientali nella costruzione del “campo da golf più a sud d’Italia”, anzi qualcosa di più di un semplice campo da golf, visto che il Verdura Golf & Spa Resort di Sciacca (in provincia di Agrigento) è una struttura da 230 ettari, centri benessere con vasche di acqua salata proveniente da Marsala per la talassoterapia, piscine, palestre, suite, arredi eleganti e di lusso, alta gastronomia siciliana, villette e cinquecento posti letto complessivi.
Costata 125 milioni e finanziata in parte con soldi pubblici (quelli di Sviluppo Italia destinati alla crescita turistica del Mezzogiorno), la struttura, di proprietà del gruppo del magnate inglese Rocco Forte, ha vissuto una serie infinita di vicissitudini, con gli ambientalisti locali in prima linea a contestarla. Innanzitutto per la scelta del sito, la piana del fiume Verdura, una zona classificata come Sic (sito di importanza comunitaria) dall’Europa.
Legambiente (con in testa Angelo Di Marca) monitora il cantiere e denuncia che «i primi lavori sono realizzati distruggendo la vegetazione, sbancando parte della falesia costiera, alterando l’intero reticolo idrografico (il resort necessita di 600mila metri cubi d’acqua l’anno per l’irrigazione, più o meno come una città di 4mila abitanti), realizzando movimenti di terra sin sulla battigia, interrando e distruggendo alcune zone umide». Violazioni che allarmano la Regione: nell’agosto del 2006, l’assessorato regionale all’Ambiente dichiara decaduta l’autorizzazione in materia di impatto ambientale, ma il Comune sospende solo una parte dei lavori.
Così tra denunce, pause e ripartenze e persino una legge regionale ad hoc (che ha sancito la possibilità di avere campi da golf a due passi dal mare), i lavori continuano e nell’estate 2009 è arrivata l’inaugurazione. Le denunce degli ambientalisti sono diventate un processo, in cui Legambiente e WWF sono parte civile. «La nostra», spiega Di Marca, «non è una posizione ideologica contro campi di golf né tanto meno contro la Rocco Forte. Ma questa è un’area delicata dal punto di vista ambientale, con una costa soggetta a una forte erosione. Perché non si scelgono invece aree degradate da recuperare, per esempio?». La battaglia legale continua, a due passi dal manto scintillante del green, dove un manipolo di privilegiati si gode il lusso del resort.


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