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“Grazie Italia per il tuo impegno”

Si confida a Vita.it Samura Kamara, il ministro degli Esteri del paese africano più colpito dall’emergenza Ebola, la Sierra Leone. Per dire che la battaglia contro l'epidemia sta dando i suoi frutti, “anche grazie all’Italia”.

di Joshua Massarenti

Con oltre 11.600 casi e circa 3.600 vittime in dodici mesi, la Sierra Leone è il paese africano più colpito dal virus Ebola. Un’emergenza che il governo sierraleonese combatte senza tregua, con l’aiuto dell’Italia. E i risultati si vedono. A dirlo è il ministro degli Esteri (e candidato alla presidenza della Banca africana di sviluppo), Samura Kamara, che in questa intervista esclusiva rilasciata a Vita.it ringrazia  “il governo Italiano per il suo grande sostegno. Insieme possiamo raggiungere il caso zero”.

In Sierra Leone l’Italia è in prima linea per combattere assieme al suo governo l’emergenza Ebola ed arrivare al caso zero. Con quale valore aggiunto?

Prima di tutto voglio esprimere la mia gratitudine nei confronti del Governo e del popolo italiano per l’assistenza fornita in Sierra Leone per sconfiggere Ebola. Abbiamo una relazione storica con il vostro paese, e uno dei risultati più emblematici realizzati attraverso l’assistenza italiana è la diga Freemont Bumbuna, che fornisce oggi circa 50 megawatt giornalieri di energia idroelettrica. Questo progetto ha dato un contributo significativo al nostro sviluppo economico.

Durante la conferenza su Ebola che si è tenuta a Bruxelles, ci siamo confrontati con i nostri partner internazionali su quello che succederà una volta raggiunto il caso zero, e sono sicuro che l’Italia ci sosterrà in questa causa aiutandoci anche a dimostrare che possiamo raggiungere l’ultimo miglio, condizione sine qua non per far rilanciare il nostro paese.

Ma il caso zero, secondo alcuni esperti, sembra essere ancora lontano. Qual è la sua opinione a riguardo?

Credo che si debba rimanere ottimisti, considerato il livello di formazione e i trattamenti che abbiamo ricevuto, ora possiamo contare su un capitale umano, centri e laboratori che possono fornire risultati rapidamente. Penso che ci troviamo in uno stato di preparazione maggiore, quello che ci resta da fare è mobilitare la popolazione ed assicurarci di adottare solidi protocolli sanitari, special modo nelle sepolture. Questo ci aiuterà a raggiungere il caso zero. Ricordiamo che il picco Ebola raggiunto il 9 novembre 2014 è stato di 1,911 casi, da allora il numero di nuovi casi è calato drasticamente (58 quelli recensiti dall’OMS tra il 2 e l’8 marzo, ndr), ciò è estremamente positivo.

La mobilitazione delle popolazioni locali rimane un problema aperto. Eppure è passato già un anno da quando la crisi è scoppiata. Perché?

Inizialmente abbiamo osservato una grande paura associata a una forte ignoranza del virus e il rifiuto di accettare l’evidenza: la nostra vita quotidiana e le nostre abitudine sarebbero state stravolte dall’epidemia. Pensiamo alla perpetuazione delle pratiche culturali legate alla sepoltura. La gente si rifiutava di svolgere sepolture adottando tutte le misure di sicurezza necessarie per scongiurare nuove infezioni. Dopo gli interventi ripetuti del governo e della Comunità internazionale, oggi si può affermare che la popolazione ha preso coscienza del problema. Ma il lavoro di sensibilizzazione non è finito.

Parlando di consapevolezza, com'è che la guardia del corpo del vicepresidente Sam-Samuna sia stata contagiata, costringendo ques'ultimo a sottoporsi ad un periodo di quarantena?

E’ difficile rispondere a questa domanda, l’importante è che il nostro vicepresidente abbia deciso di entrare nel periodo di quarantena per non creare ulteriori danni: è il migliore protocollo che si possa adottare. Paradossalmente questa situazione invia un messaggio importante, ovvero nessuno è al riparo dell'epidemia. Ebola non si ferma davanti a nulla, l’unica soluzione è adottare le giuste precauzioni.

Intervista realizzata in collaborazione con Eva Donelli
Traduzione di Evelina Urgolo


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