Welfare

Gratuito patrocinio anche allo straniero non residente

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza interpretativa della legge 217/1990 che riconosce questo importante diritto per i non abbienti

di Benedetta Verrini

Anche lo straniero non residente in Italia ha diritto di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato (introdotto con la Legge 30 luglio 1990, n. 217 “Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti”). Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ( sentenza n.12684/2003), accogliendo il ricorso di un cittadino straniero al quale era stata respinta una istanza di ammissione al gratuito sulla base del fatto che non risiedeva in Italia. La Suprema Corte, richiamando anche una recente pronuncia della Corte Costituzionale, ha invece rilevato che la legge non fa alcuna distinzione, per cui “anche lo straniero (senza distinguere – già s’è detto – tra residente o non residente in territorio nazionale) fruisce della garanzia costituzionale in ordine ai diritti civili fondamentali, in particolare in ordine al diritto di difesa, nel quale è compresa anche la difesa dei non abbienti”. In particolare, il ricorrente ha eccepito su un passaggio della legge (“6. Il trattamento riservato dalla presente legge al cittadino italiano è assicurato altresì allo straniero e all’apolide residente nello Stato”) che restringe l’obbligo di residenza solo all’apolide, e la sua argomentazione è risultata vincente: Posto che l’art. 1.6 succitato dispone che “il trattamento riservato dalla presente legge al cittadino italiano è assicurato altresì allo straniero e all’apolide residente nello Stato”, deduce che “il tenore letterale della norma riportata, esaminato sotto il semplice profilo grammaticale, evidenzia come la necessità della residenza nel territorio dello Stato (…) sia riferibile esclusivamente all’apolide e non anche (come sostenuto nel provvedimento in questa sede impugnato) allo straniero, visto che, diversamente, il legislatore avrebbe usato la parola “residenti” e non la parola “residente” (…)”; e critica, al riguardo, le argomentazioni esplicitate nel provvedimento impugnato


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