Sostenibilità

Grandi retteper piccoli utenti

il costo degli asili nido pubblici

di Redazione

A volte inesistente, più spesso inaccessibile, in alcuni casi inconciliabile con gli orari di lavoro, ma sempre caro, carissimo. È l’identikit di uno dei servizi pubblici più strategici (per la famiglia, evidentemente non per le amministrazioni) e più bistrattati del nostro Paese: l’asilo nido.
Mantenere un piccolo sotto i due anni presso un nido pubblico costa mediamente 260 euro al mese, con punte da quasi 500 euro (Belluno è la città più cara, con 486,40 euro di retta mensile, seguita da Cuneo con 445,30 euro e da una “terna” tutta lombarda: Lecco con 424,42 euro; Mantova con 416,08 euro e Sondrio con 411,70 euro). Lo rivela l’ultima indagine sui costi degli asili nido comunali condotta dal Servizio Politiche territoriali della Uil sulle 104 province italiane.

L’8,22% del budget
Da quattro anni il sindacato guidato da Luigi Angeletti compie un monitoraggio sulle tariffe dei nidi pubblici, valutando il loro impatto economico sulle famiglie. Prendendo in esame la situazione di due lavoratori dipendenti, con due figli a carico e un reddito lordo di 36mila euro annui (21mila e 15mila), la retta per l’asilo del figlio più piccolo si porta via l’8,22% del budget familiare al netto delle imposte. Una percentuale destinata a lievitare nel caso in cui il bambino più grande usufruisca del servizio mensa in una scuola comunale dell’infanzia: ai 2.600 euro annuali del nido occorrerà infatti aggiungere circa altri 600 euro.Un dato, questo, che dimostra «la maggiore vulnerabilità delle lavoratrici e lavoratori dipendenti, rispetto al “carovita”, dovuto anche al rincaro delle tasse e tariffe locali, e spiegano la preoccupazione del sindacato per la criticità dei loro bilanci familiari e per la perdita del potere di acquisto di stipendi e salari», commenta Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, sottolineando come «la prossima Finanziaria dovrà contenere misure concrete, anche a livello di tassazione locale, per la tutela del reddito da lavoro dipendente, da considerare ormai la vera priorità economica del Paese».
Un problema, quello del costo dei nidi comunali, che va a braccetto con la difficoltà d’accesso agli stessi. Perché sono proprio le rette troppo care, insieme alla mancanza di posti disponibili o addirittura all’assenza di strutture per la prima infanzia, le principali ragioni che impediscono oggi alle madri italiane d’inserire all’asilo nido i propri figli e di rientrare senza problemi nel mondo del lavoro.
Secondo l’Istat, che a inizio anno ha pubblicato l’indagine Essere madri oggi in Italia, circa il 28% delle mamme di piccoli tra 1 e 2 anni (nel periodo della rilevazione erano ben 56mila bambini) avrebbe voluto approfittare dell’asilo nido ma non ha potuto farlo. Per quale motivo? Nel 22% dei casi per mancanza di una struttura comunale in città o nelle vicinanze, nel 19,5% per indisponibilità di posti, nel 16,3% per un’eccessiva rigidità dell’offerta (orari e servizi), e proprio nel 28,3% dei casi perché ha trovato il costo della retta troppo elevato.

L’eccellenza costa
Incrociando le due ricerche, dunque, il problema dei costi appare lampante. Ed emerge anche quella mappa a macchia di leopardo che contraddistingue la situazione dei servizi alla prima infanzia oggi in Italia: punte di assoluta eccellenza, come quelle degli asili emiliani, con il “Reggio Emilia method” che viene studiato anche negli Stati Uniti (a fronte di una retta per altro non piccola, 310 euro mensili), e situazioni di grave carenza, in particolare nelle regioni del Sud, in cui spesso le poche strutture esistenti osservano orari d’apertura limitati, al massimo fino alle 15. È anche per questo che le madri italiane vivono problemi differenti al Centro – Nord rispetto al Sud: le prime rinunciano al nido per una questione economica, di fronte a tariffe troppo alte, le seconde vi rinunciano per assoluta assenza di strutture. In questo caso, bisogna proprio dirlo, non si sa chi invidiare.


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