Cultura

Grandi marchi, questa è una vera rivoluzione

Caso Nike. Parla Amy Domini. La regina dei fondi etici americani applaude alla svolta del colosso dell’abbigliamento sportivo.

di Francesco Maggio

Da un paio di decenni figura sistematicamente nell?elenco delle personalità più potenti di Wall Street. Time, nel numero del 18 aprile scorso, l?ha inclusa tra le cento persone più influenti del pianeta. Ma Amy Domini, indiscussa pioniera del socially responsible investing, continua a mantenere, come si suol dire, un low profile, un basso profilo, ad essere di modi schietti, piena di ironia, garbo e disponibilità. Quanto di più lontano, insomma, dallo stereotipo del potente, arrogante e inavvicinabile.
Ne sappiamo qualcosa proprio noi che ogni volta che in questi anni abbiamo provato a interpellarla, a cercarla per un?intervista o una chiacchierata informale sulle questioni di più stretta attualità riguardanti la finanza etica o la corporate social responsibility, non solo abbiamo trovato sempre la porta aperta ma siamo anche stati incoraggiati a perseverare nel nostro lavoro.
«Sono convinta che presto l?Europa e l?Italia», più di una volta ci ha detto, «diventeranno un mercato strategico per gli investimenti socialmente responsabili. Ed è importante che ci sia chi informi puntualmente circa le tante peculiarità di questo fenomeno».
Da pochi giorni il ?suo? Domini Social Index 400, il primo benchmark etico apparso sui mercati, ha compiuto 15 anni. Proprio nello stesso frangente in cui la Nike faceva il suo clamoroso mea culpa rendendo pubblici i nomi dei suoi quasi 800 fornitori sparsi in tutto il pianeta. Una doppia ricorrenza, evidentemente, da non perdere per ?risentirsi?.
E&F: Amy Domini, crede che il ?pentimento? di Nike sia sincero oppure si tratta solo di una strategia di marketing?
Amy Domini: L?apertura di Nike rappresenta un grande cambiamento nel modo in cui l?azienda interpreta la responsabilità nei confronti dei diritti umani. Se fosse solo marketing, penso che avremmo trovato molti meno contenuti nel loro ultimo report, e ci sarebbero state invece maggiori manovre da parte dei loro uffici di pubbliche relazioni. Il vero problema non è se si tratta solo di marketing ma se la Nike agirà nel lungo periodo in modo coerente con quanto dichiarato, se saprà affrontare e risolvere i problemi che trova nelle fabbriche dei fornitori. è difficile, d?altronde, rimproverare il pubblico di essere scettico se poi si verifica la circostanza per la quale molte società spendono enormi risorse per veicolare il messaggio del loro marchio incentrandolo su una varietà di cose, ma non sul fatto che ci sono fabbriche che sfruttano il lavoro.
E&F: Pensa che dopo questo storico ?mea culpa? anche i competitors più diretti di Nike, per esempio, Adidas, Reebok, Puma, saranno o si sentiranno obbligate a compiere scelte simili?
Domini: Nel 2002 il Domini Social Investments ha iniziato la sua azione di pressione con Gap Inc, culminati con il loro ?esplosivo? rapporto del 2004. è finito sulla prima pagina del Wall Street Journal, che ha commentato che il rapporto è stato «un enorme cambiamento nella strategia» per la società ma che potrebbe rappresentare un?abile mossa strategica. Il fatto che Nike, a sua volta, abbia pubblicato un report che mette in evidenza un grande cambiamento nella loro pianificazione strategica non è sorprendente. Gli investitori sociali usano la pressione competitiva come una leva per diffondere l?adozione di migliori pratiche di management.
E&F: Dopo questa decisione chi sono i veri vincitori? I consumatori, i cittadini, le aziende, chi altro?
Domini: Penso che tutti, a vario titolo, ne trarranno dei benefici. Ovviamente i lavoratori avranno condizioni migliori. Nike trarrà un vantaggio anche dal fatto di rifornirsi presso fabbriche meglio gestite e ciò, alla fine, produrrà benefici per i consumatori. Noi investitori sociali ci occupiamo di questioni collegate alla creazione di ricchezza nel lungo termine per la società e ciò, ovviamente, include i consumatori e i cittadini. Ma apprezziamo anche il ruolo positivo delle aziende nell?innovare e distribuire i beni in modo efficiente. La ricchezza di lungo termine dipende anche da business ben condotti.
E&F: Il benchmark etico Domini Social Index 400 compie in questi giorni 15 anni. Com?era il socially responsible investing 15 anni fa e com?è oggi? Quali sono stati i cambiamenti principali che sono intervenuti?
Domini: Forse il modo migliore per rispondere a questa domanda è fornire un breve elenco almeno di qualcuno dei risultati ottenuti. Per esempio: tutti i fondi comuni di investimento devono ora rendere noto il modo in cui votano alle riunioni annuali delle società; un gruppo significativo di fondi pensione pubblici adesso vede il cambiamento di clima come un fattore di rischio per il proprio portafoglio; più dell?80% delle prime 500 società di Fortune ora proibisce formalmente la discriminazione contro gli omosessuali; le maggiori banche del mondo, incluse Citigroup, Bank of America e JPMorgan Chase stanno ora valutando l?impatto delle loro decisioni di investimento sull?ambiente; globalmente, circa 1.500 società scrivono rapporti sulle questioni della sostenibilità.
E&F: Come sono cambiate in questi anni le sue convinzioni sul socially responsible investing? Per esempio, quattro anni fa lei dichiarò proprio in un?intervista a Vita che l?Europa e l?Italia avevano grandi potenzialità di crescita in questo settore finanziario: è sempre dello stesso avviso?
Domini: L?Europa continua a mostrare la più grande velocità di cambiamento, guidata in larga parte dal sostegno dei governi per gli investimenti responsabili e la csr. Ci sono una varietà di requisiti legali da scoprire in Gran Bretagna, Francia e altrove, relativi a come gli investitori guardano alle questioni ambientali e sociali. Mentre il mercato americano degli investimenti sociali, sebbene continui a crescere in termini di capitali, manca di un supporto, di una guida dall??alto?. Questo ha messo a rischio le capacità dell?industria del socially responsible investing di creare standard uniformi.

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