Società

Granata: «”Settore civile”? Sì, usciamo dal recinto e accettiamo la sfida»

Il lavoro, l'innovazione, i giovani e l'importanza di mettere al centro le persone «per fare un salto di qualità e porsi come elemento strutturale». Il presidente di Federsolidarietà interviene dopo la sollecitazione del professor Zamagni a sostituire la dicitura "Terzo settore" con "settore civile"

di Alessio Nisi

civile

Settore civile” anziché “Terzo settore”? Questione di termini, quindi di sostanza. Vuol dire per le organizzazioni che se ne occupano avere pari dignità rispetto al pubblico e al privato, quindi piena capacità di co programmare, non solo di co progettare. Soggetti protagonisti al centro di un nuovo modello di economia, l’economia civile. Le parole di Stefano Zamagni, professore di Economia politica nell’Università di Bologna e presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali-Pas, pronunciate dal palco del Meeting di Rimini, fanno discutere. E se da una parte Leo Becchetti, economista di Roma Tor Vergata e anima del Festival nazionale dell’economia civile di Firenze, chiede di più e ritiene che «il civile debba essere l’unico grande settore privato del Paese (differenziato settorialmente per tipi di produzione) dove tutte le organizzazioni rispettino i cinque capisaldi del nuovo paradigma economico», dall’altra i protagonisti del Terzo settore si interrogano sulle direzioni possibili.

La sfida dell’innovazione

Di sfida, parla Stefano Granata, presidente Confcooperative Federsolidarietà. Porsi come settore civile vuol dire «uscire dal recinto» e definirsi come modello avanzato soprattutto per il mondo del lavoro. In un contesto di crisi, le imprese stanno sul mercato solo se mettono la persona al centro, coinvolgendo i giovani in una partita che si gioca tra processi innovativi, competenze e interesse generale.

Presidente Granata, che ne pensa delle parole del professor Zamagni?

Meriterebbe un un plauso da tutto il Terzo settore. Far uscire il nostro mondo dal recinto è una grande opportunità.

Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà

Quando parla di “uscire dal recinto” che cosa intende?

Il tema, per quello che il professor Zamagni non vuole più chiamare Terzo settore, è entrare nei mercati veri e non stare nei mercati marginali. Il punto di partenza della riflessione non a caso è la sanità. La sanità pubblica, è evidente, non sta in piedi, perché non ha risorse. Il privato è entrato pesantemente in questo mercato, ma con le logiche che abbiamo visto: la qualità è per pochissimi e non è accessibile a tutti, in barba al principio universalistico, tra l’altro con prestazioni che sono abbastanza mediocri. È evidente quindi che solo sanità privata o solo sanità pubblica non sono la soluzione. Il professor Zamagni avanza l’idea che esista una parte civile, un Terzo settore, in grado di far evolvere il modello sanitario.

Non è un caso che Zamagni nel suo intervento si soffermi sulla differenza tra cura del malato e cura della malattia…

Oggi la la sanità si occupa della cura delle malattie, ma non si occupa della cura del malato, che sarebbe una funzione tipica del Terzo settore. Quando si parla di centralità della persona è evidente che si parla di questo. Ma è un passaggio che coinvolge anche il mondo del lavoro, in crisi perché c’è mismatch fa domanda e offerta e perché c’è il rifiuto delle nuove generazioni di un certo modello. Devono cambiare i modelli partecipativi, aprendo ad esempio al welfare e alla gestione dei processi con i lavoratori.

Quindi il Terzo settore?

Le organizzazioni del Terzo settore hanno dei modelli partecipativi decisamente più avanzati. C’è un aspetto motivazionale che non può essere legato solo alla remunerazione. Se tutto è impostato sul rapporto prestazione – remunerazione si dimentica la persona. Per tornare alla sanità, si cura la malattia ma non ci si occupa del malato. È un portato umanitario, è un salto di qualità.

Il professor Zamagni ha parlato anche di sussidiarietà circolare e orizzontale…

Oggi il modello prevalente è la co-progettazione, la sussidiarietà orizzontale. C’è un ente terzo che decide, in genere il pubblico, c’è un ente di Terzo settore o civile che partecipa, ma con un compito esecutivo, senza il coinvolgimento del cittadino nella programmazione. Il cambio di paradigma sta nella sussidiarietà circolare: in cui partecipano alla co-programmazione privati, pubblico e settore civile. In questo senso, ci si fa carico dei bisogni di una comunità e si dà una risposta.

Società civile dunque meglio di Terzo settore?

Sì. Perché quell’uscire dal recinto, di cui dicevo prima, vuol dire fare un salto di qualità e porsi come elemento strutturale. Certo, il rischio è autocertificarsi come portatori di interesse generale quando può non essere così. Ma deve essere una nostra responsabilità. Bisogna poi fare attenzione a uscire dalla sudditanza del lavoro (che non è economia civile) con il rischio di “terzializzare la mano d’opera” e soprattutto dobbiamo generare processi di innovazione.

Spieghi bene questo passaggio.

È vero che i nostri mondi hanno fatto miracoli con poche risorse e hanno dato risposte importanti ai bisogni di welfare del Paese, però è anche vero che oggi c’è una domanda diversa che esige anche una risposta diversa. Un passaggio che presuppone innovazione e un accrescimento delle competenze. Questa sarebbe una grandissima occasione per coinvolgere le nuove generazioni, con una spinta motivazionale legata alla qualità delle competenze. Non è vero che i giovani non sono interessati a questa sfida: sapere di lavorare per l’interesse generale (e non in un recinto) sarebbe un grande incentivo.

Secondo il professor Leonardo Becchetti, nell’ottica di un nuovo paradigma economico, il settore civile deve essere l’unico grande settore privato del Paese.

Leonardo Becchetti alza ulteriormente l’asticella e lo fa nel contesto di una crisi. Il lavoro è la leva che si può forzare. Le imprese per poter stare sul mercato devono riportare al centro la persona. Questo può essere l’innesco del cambio di paradigma. Il vero tema? È avere la convinzione che l’economia civile conviene e crea meccanismi che comportano meno costi per la comunità.

In apertura foto di Elijah Hiett per Unsplash

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