Economia
Granata: “Contro la pandemia sociale, lo Stato da solo non basta”
Il presidente di Federsolidarietà, la rete di coop sociali di Confcooperative: "I servizi sociali di fronte a certi numeri collasseranno, a meno di non immaginare altri strumenti e altre governance: è impensabile riuscire a intercettare i bisogni individualmente. Immaginare di rilanciare l’economia, senza che tenga il tessuto sociale è irrealistico: per questo sarà cruciale il ruolo del Terzo settore"
di Redazione
Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà, il ramo delle cooperative sociali di Confocooperative guida un network di 6.245 aderenti (compresi 263 consorzi) con un fatturato aggregato che supera i 7,2 miliardi di euro. Tra le coop associate il 67% opera nel settore socio sanitario ed educativo e il 33% nell'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati: «In questo momento l’attenzione è giustamente rivolta al contenimento della pandemia sanitaria e si sta pensando a come fronteggiare la pandemia economica. Quasi nessuno sta pensando alla pandemia sociale, quella che rischia di avere gli effetti a più lunga gittata».
A chi si riferisce in particolare?
Pensiamo a tutte quelle persone che fino a ieri avevano una propria attività artigianale, oppure a un barista o a un ristoratore che hanno un mutuo o un affitto da pagare e ancora oggi non sanno se e come riapriranno. Per queste attività il fatto che in un giorno ti entrino 50 clienti, piuttosto che 500 fa la differenza fra chiudere e restare in piedi. Tutta la fascia delle attività “a conduzione familiare”, per intenderci, rischia di entrare in un’area di povertà che verosimilmente riguarderà anche i loro figli e magari i genitori non autosufficienti. Di fronte a queste povertà non puoi rispondere coi vecchi sistemi.
In che senso?
Nel senso che i servizi sociali di fronte a certi numeri collasseranno, a meno di non immaginare altri strumenti e altre governance. Servono in primis piattaforme di gestione dei dati che aggreghino la domanda, perché è impensabile riuscire a intercettare i bisogni individualmente. Pensare che si possa immaginare di rilanciare l’economia, senza che tenga il tessuto sociale mi pare irrealistico.
Cosa serve nel concreto?
Investimenti per immaginare e creare cose che oggi non ci sono. E per questo bisogna investire.
Il decreto Liquidità destina alle imprese (quindi anche alle cooperative e alle imprese sociali, che pur non nomina) prestiti per 400 miliardi con ampie garanzie pubbliche. E presto arriverà in Parlamento anche il decreto Rilancio. Non basta?
Se io devo rimborsare il finanziamento in 72 mesi con un preammortamento di 24 mesi, vado poco lontano. Bisogna che ci capiamo. Qui servono nuove infrastrutture. Se devo ricostruire il ponte di Genova ho bisogno di investimenti importanti e di lungo periodo. Quello che vale per le infrastrutture stradali, deve vale per le valere per quelle sociali. Non c’è alcun motivo razionale perché per il sociale debbano valere regole diverse.
Non potrebbe essere lo Stato in prima persona ad occuparsi dell’infrastrutturazione sociale?
Non è in grado di farlo. È una ipotesi irrealistica. Servono antenne, prossimità con il disagio e presenza sui territori. L’istituzione pubblica ormai è diventata un ente erogatore. Sul terreno c’è il Terzo settore. La realtà è questa.
C’è solo la finanza pubblica a cui attingere? Le risorse delle Fondazioni bancarie o i fondi del sistema cooperativo non possono costituire un primo rubinetto a cui attingere?
Possono dare un po’ di ossigeno in questa prima fase, ma sia gli uni, sia gli altri hanno modalità di erogazione e patrimoni tale da non riuscire a sostenere un vero e proprio piano Marshall sul sociale, perché è di questo che stiamo parlando.
Di quali cifre stiamo parlando?
Difficile dirlo ora, stiamo facendo i conti. Ma stiamo parlando di miliardi.
Da dove partire?
Dalle sperimentazioni che funzionano. Se dobbiamo creare database davvero condivisi a livello territoriale, per fare un esempio, investiamo X su un territorio che sta già ragionando su questi temi e se il test funziona lo si espande. E lo stesso vale la coprogettazione. A Milano si sta tentando di fare qualcosa. Vediamo cosa va cosa va e cosa non va e poi decidiamo come esportare il modello. Il tutto in base a due principi. Il primo: basta risorse a pioggia e a tutti. Il secondo: nessuno, né tanto meno il pubblico, può fare da solo.
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