Giornata internazionale della donna
Granata (Bicocca): «Liberiamo noi stesse per liberare le nostre figlie»
A parole vorremmo figlie libere ed emancipate, ma poi nei fatti cresciamo “brave bambine” ubbidienti e remissive. Un corto circuito di cui, senza neanche accorgersene, sono responsabili talvolta le stesse madri. Nel suo nuovo libro Anna Granata, professoressa di Pedagogia alla Bicocca, suggerisce una nuova via per l’emancipazione femminile: «Non possiamo crescere figlie libere senza liberare noi stesse». Da dove iniziare? Da una riflessione sul ruolo esercitato da madri, zie, nonne, allenatrici. E maestre, soprattutto
C’è un dialogo molto efficace nel film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani: Delia, la madre (interpretata dalla stessa regista) sta parlando con la figlia Marcella, che sta per sposarsi. La madre cerca di metterla in guardia da un matrimonio che ha tutta l’aria di rivelarsi tossico, perché fondato sulle stesse dinamiche che lei, vittima di violenza fisica e psicologica dal marito, conosce molto bene. Perciò, prima che Marcella si ritrovi a vivere lo stesso incubo dice alla figlia: “Te sei in tempo”. A questo punto però la giovane le risponde “Pure te, ma(mma)”, sollecitando la madre a liberarsi una volta per tutte di quel malandrino di uomo, Ivano (Valerio Mastandrea).
Questo brevissimo dialogo mi pare rappresenti in maniera perfetta quello che Anna Granata, docente di Pedagogia all’Università di Milano-Bicocca, vuole dire attraverso il suo nuovo saggio, “Ragazze col portafogli” (Carocci editore).
«Sono convinta che è nella relazione tra generazioni diverse che possiamo trovare la via per l’emancipazione femminile: non possiamo crescere figlie libere senza liberare noi stesse, e i due movimenti sono congiunti e circolari».
Sono convinta che è nella relazione tra generazioni diverse che possiamo trovare la via per l’emancipazione femminile: non possiamo crescere figlie libere senza liberare noi stesse, e i due movimenti sono congiunti e circolari
Anna Granata
La sua proposta allora è quella di approcciare il tema dell’emancipazione in un’ottica intergenerazionale, mettendo al centro la relazione educativa tra donne di età diversa. «Man mano mi sono resa conto che l’emancipazione delle donne e l’educazione delle ragazze sono due processi profondamente legati. Non c’è una questione delle bambine, una questione delle ragazze e una questione delle donne adulte, ma un’unica questione femminile che è possibile affrontare solo insieme. Urge quindi un movimento trasformativo e co-evolutivo che veda come protagoniste le figlie e le madri, le nonne e le nipoti, le alunne e le insegnanti».
Professoressa Granata, sa cosa è nata questa riflessione?
Il libro nasce da una presa d’atto, nel 2023. Notevoli sforzi, impegni presi a livello nazionale e internazionale, orientamenti e indicazioni a livello formativo e scolastico non hanno ancora portato alla sperata emancipazione delle donne nel nostro paese.
Come mai, secondo lei?
Le cause sono molteplici. Tra queste io mi sono concentrata sul modello educativo e sociale che le madri incarnano oggi. Mi pare sia contraddittorio.
A parole, invitano le figlie a “essere ribelli”, selvagge, scomposte, libere, in sintonia con le passioni e inclinazioni più vere a “cavarsele da sole”. Lo dimostra anche il successo (e l’abbondanza) di volumi nati sul modello di Storie della buonanotte per bambine ribelli, che assumono come modello le biografie delle scienziate, pittrici, politiche, sportive, scrittrici di successo. Ma spesso questo rimane un riferimento un po’ naif: attraverso la pratica perpetuiamo in famiglia ma anche a scuola e negli altri luoghi della socialità un modello di “brave bambine” che di fatto le costringe al silenzio, alla prudenza, all’obbedienza.
Quell’idea di “brava bambina” e di “brava ragazza” sembra ancora essere il modello più condiviso per vivere in questa società…
Salvo felici e coraggiose eccezioni, purtroppo il compito di “correggere” il carattere, smussare i tratti di vivacità e i moti di intraprendenza, è spesso affidato socialmente alle madri, ma anche alle nonne, alle zie, alle maestre. Le bambine solo le più brave a stare in fila, a colorare dentro i margini, a fare silenzio in classe. La scuola premia questo modello, anziché essere il luogo per coltivare – in un contesto altamente femminilizzato – vie di riscatto e di emancipazione. “Scolarizzare”, nelle parole di molti insegnanti, in fondo significa proprio questo: adeguare i nuovi arrivati a un modello di mansuetudine, subordinazione, mera esecuzione di compiti, per i quali bambine e ragazze sono spesso più disponibili.
Come possiamo accompagnare l’emancipazione delle ragazze?
Facendo attenzione al loro processo di crescita, fin dall’inizio. Domandandosi: come posso io, madre, insegnare a mia figlia a non subire molestie, a non avere paura di parlare in pubblico, a non provare timore nel chiedere un aumento, a rivendicare parità in casa? Probabilmente incarnando quel modello. Con i fatti, non solo con le parole. Perché educare a parole è un grande inganno. Bambine e ragazze osservano ogni nostro comportamento sociale. Ci imitano e si identificano in noi. Imparano più da come stiamo al mondo che da come parliamo loro del mondo. Ce lo spiegava già Elena Gianini Belotti, nel 1973, col suo Dalla parte delle bambine. Questo vale per tutte le figure femminili, dalle nonne alle allenatrici, dalle zie alle maestre.
Educare a parole è un grande inganno. Bambine e ragazze osservano ogni nostro comportamento sociale. Ci imitano e si identificano in noi. Imparano più da come stiamo al mondo che da come parliamo loro del mondo
Anna Granata
Ci può fare qualche esempio?
Un esempio molto positivo è l’avere una madre lavoratrice. Questo ha un forte impatto sulla scelta del lavoro e sulla possibilità di carriera delle figlie divenute adulte. Soprattutto se intorno ci sono anche altre figure di donne (come amiche di famiglia, le zie) realizzate nel lavoro. A suggerirmi questo sguardo sul tema è stata in particolare una ricerca longitudinale condotta da Kathleen McGinn, Mayra Ruiz Castro ed Elisabeth Long Lingo (2019), studiose americane e inglesi, che in un articolo dal titolo accattivante, Learning from Mum, hanno messo a fuoco il potere straordinario della dimensione «the same gender» nei processi di trasmissione e trasformazione culturale. Positivo è anche l’avere una madre che si prende del tempo per coltivare il senso di sé, staccandosi dalle faccende quotidiane, per usare i propri sensi, pensare, ragionare, dare un significato alla propria vita.
Le bambine hanno anche bisogno di prendere le distanze dalle proprie madri…
Le ragazze, superati i periodi di sviluppo basati diffusamente sui processi di imitazione e identificazione, devono poter attivare processi di rottura e presa di distanza rispetto a modelli femminili precostituiti, devono potersi ribellare – non per forza con aggressività e violenza. Quel processo generativo e trasformativo andrebbe salutato con curiosità e apertura da parte di noi adulte. In fondo, quel moto di ribellione è per loro ma è anche per noi. Senza quelle bambine e quelle ragazze che ci guardano, non troveremmo la stessa forza e le stesse parole.
Le ragazze devono potersi ribellare. Quel processo generativo e trasformativo andrebbe salutato con curiosità e apertura da parte di noi adulte. In fondo, quel moto di ribellione è per loro ma è anche per noi. Senza quelle bambine e quelle ragazze che ci guardano, non troveremmo la stessa forza e le stesse parole
Anna Granata
In che senso?
Quando ancora bambine ci pongono domande ingenue come «perché non guidi tu, mamma?», ci stanno indicando la via del cambiamento. Quando già ragazzine ci fulminano con lo sguardo perché subiamo passivamente soprusi e prevaricazioni, lo fanno per smarcarsi da quel modello ma ci forniscono anche la direzione per cambiare. Prenderci cura delle ragazze, delle bambine, far conoscere i nostri mestieri e successi, comunicare la gioia e l’entusiasmo per il lavoro e l’autonomia, può generare un movimento trasformativo che può portarci verso la parità sperata e l’emancipazione delle nuove generazioni.
Al contrario, nonne, madri, figure femminili che accettino qualsiasi atteggiamento o affermazione delle figure maschili, senza esprimere mai un pensiero diverso o discordante, potrebbero comunicare alle figlie e alle nipoti un messaggio negativo: siamo nate per stare in silenzio ed eseguire compiti impartiti da altri.
Foto in apertura, Anna Granata
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