il dossier F-35: 52 miliardi per quale sicurezza?
Martedì 18 febbraio, mentre Matteo Renzi svolgeva le consultazioni per il costruire il suo governo, la Campagna “Taglia le ali alle armi” presentava alla stampa l’ultimo dossier sui caccia F-35 La verità oltre l’opacità. Un consulto non richiesto, ma che il nuovo Presidente del Consiglio farebbe bene a prendere molto sul serio. Anche perché, si sottolinea nel dossier, il programma di acquisto degli F35 non è “solo” una questione che riguarda i “pacifisti”, ma mette in gioco “il modello di Difesa del nostro Paese e le sue politiche di spesa militare” ed anche, più in generale, “l’impostazione strategica che guida le scelte economico-finanziarie del Governo e l’impiego delle risorse pubbliche in una fase di crisi economica e sociale drammatica”. Gli oltre 14 miliardi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri – e più di 52 per l’intera gestione del programma – sono risorse distolte dalla possibilità di affrontare le vere priorità del paese: la disoccupazione, la povertà, la precarietà sociale, il rischio idrogeologico dei territori…Ossia sottratte alla difesa della sicurezza dei cittadini. Nell’ultima legge di stabilità è previsto che, nel triennio 2014-2016, il governo italiano impegni quasi 2 miliardi di euro per l’acquisto di 8 F35, in media 650 milioni l’anno. “Parallelamente – ricordano i ricercatori della Campagna – “gli stanziamenti per il Servizio Sanitario Nazionale subiranno un taglio di 1 miliardo e 150 milioni di euro”. Oltre a ribadire la richiesta di cancellazione del programma, la Campagna denuncia “un grave non rispetto da parte del Governo delle indicazioni vincolanti prese dal Parlamento” con le mozioni di sospensione votate dai due rami del Parlamento la scorsa estate: “il Ministero della Difesa ha infatti proseguito i propri acquisti non informando in maniera precisa e completa i parlamentari”, un precedente grave che rischia di compromettere qualsiasi controllo parlamentare sul programma.
la ministra con l’elmetto
Si tratta, dunque, di un documento accurato che – anche per i costi presenti e futuri, i difetti strutturali e gli ipotetici ritorni occupazionali e industriali del programma dei caccia – fa riferimento ai dati diffusi dal Pentagono, supplendo all’opacità dei dati forniti dal ministero ella Difesa italiano. Ministero dal quale proviene il nuovo ministro della difesa Roberta Pinotti, già sottosegretaria PD nel ministero guidato da Mario Mauro. La storia politica della prima donna al vertice delle Forze Armate è ricordata da Giulio Marcon su il manifesto del 22 febbraio: “la nuova ministra della difesa e’ passata in questi anni dalle marce no global di Porto Alegre a quelle militari dei Fori Imperiali, dalla partecipazione al Genoa Social Forum ai vertici della Nato, dal pacifismo all’interventismo militare e dalla sinistra dei DS al nuovo corso renzista.” Di Roberta Pinotti è utile ricordare l’intervista rilasciata all’Unità lo scorso 8 luglio, nel quale – dopo il voto della Camera sugli F-35 e prima di quello del Senato – affermava perentoriamente che “dal programma F35 non si esce”; ma anche l’intervista dello scorso dicembre, sullo stesso giornale, dove (pur non citando i cacciabombardieri) affermava che “una spending review sui sistemi d’arma non solo è possibile ma necessaria” invitando il movimento pacifista a lavorare insieme per un “Libro bianco della Difesa”. Rete Italiana Disarmo aveva già risposto che al movimento per il disarmo è pronto ad una discussione approfondita su cosa voglia dire oggi difesa per il nostro Paese, mentre è il ministero della Difesa ad essersi finora sottratto ad ogni confronto di merito. Oggi, se il ministro lo vuole davvero, il confronto diretto è possibile, senza più alibi.
i sindaci nella stanza dei bottoni
Per aprire il confronto, forse non è inutile ricordare che oggi al vertice del governo ci sono due sindaci, Matteo Renzi e Graziano Delrio, i cui rispettivi consigli comunali di Firenze e Reggio Emilia hanno da tempo votato risoluzioni e ordini del giorno contro i caccia F-35. Il Consiglio comunale di Firenze, il 12 marzo 2012, chiedeva al governo italiano di “rivedere la scelta di aderire al programma pluriennale relativo all’acquisizione del sistema d’arma Joint Strike Fighter (JSF) e di destinare i fondi alla salvaguardia delle pensioni delle fasce sociali più deboli e agli Enti Locali al fine di garantire quei servizi sociali essenziali per rispondere ai bisogni primari dei cittadini”. Poche settimane prima, il 27 febbraio, il Consiglio comunale di Reggio Emilia, chiedeva al governo di “ridurre le spese militari, annullando almeno l’acquisto dei 131 cacciabombardieri F 35, azzerandone il programma, e destinare le risorse recuperate per il welfare municipale, le politiche per il lavoro (ammortizzatori sociali, sostegno all’occupazione e all’imprenditoria giovanile) e il potenziamento e la valorizzazione del Servizio Civile Nazionale”. I Consigli comunali chiedevano ai rispettivi sindaci (di cui uno, Delrio, presidente dell’Anci) di farsi interprete di quelle istanze presso il governo. Oggi i sindaci di quelle due città sono nella stanza dei bottoni e possono realizzare davvero ciò che è stato chiesto ai governi, con le stesse motivazioni, da oltre 80 amministrazioni locali (tra Comuni, Province e Regioni), le quali sanno bene che al bisogno di sicurezza dei cittadini non si risponde con i cacciabombardieri. Ma, sopratutto, con la loro cancellazione.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.