Famiglia

Governo nella bufera. La notte dei lunghi coltelli

Stralci della ricostruzione di Claudio Tito, da La Repubblica, del vertice della Cdl da cui Tremonti è uscito sconfitto e dimissionario per mano di An

di Redazione

Pubblichiamo stralci del retroscena pubblicato oggi, 3 luglio 2004, sul quotidiano La Repubblica a firma Claudio Tito. “Qui c’è una persona che ha bisogno di una lezione. Una lezione di serietà e anche su come si sta in un governo…”. Più che un attacco, Gianfranco Fini ieri notte ha organizzato una requisitoria. Eh sì, perché il vertice della Casa delle libertà convocato da Berlusconi a Via del Plebiscito si è trasformato in un vero e proprio processo. Alla stanga c’era il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Il leader di An ha indossato invece i panni del pubblico ministero. Prima di formalizzare le dimissioni, infatti, lo scontro tra i due è stato all’ultimo sangue. Nessuno ha risparmiato colpi e non sono mancati momenti di tensione. Con tanto di dito indice puntato uno contro l’altro. Alla presenza di un giudice, Silvio Berlusconi, che ha preferito sostanzialmente tacere, senza prendere la parti di nessuno, ma consentendo che la riunione prendesse le forme di un j’accuse contro il titolare di Via XX Settembre. L’incontro si è aperto con una relazione piuttosto asettica del presidente del consiglio che si limitava a descrivere la situazione. Sia nella maggioranza, sia in relazione al prossimo Ecofin di lunedì. Subito dopo ha preso la parola l'”accusato”. In primo luogo ha negato che la tabella contestata, quella che metteva in evidenza l’evaporazione di due miliardi di euro dai conti pubblici e che ha fatto scatenare le ire di An, fosse la sua. “Non l’ho fatta io ha rimarcato più di una volta l’ho già detto e lo ripeto. Anzi, posso ammettere anche io che in quella tabella mancano dei soldi. Ma sono solo due miliardi”. A quel punto la tensione si è impennata in un attimo. Il vicepremier lo ha interrotto e ha fatto ricorso al vocabolario più tagliente per commentare quella prima autodifesa. “Forse – ha attaccato Fini – non sono un grande conoscitore di conti pubblici e di processi macroeconomici, ma so che cos’è la politica. So soprattutto che due miliardi di euro significano toccare gli interessi di persone in carne ossa. Ed è irresponsabile parlarne così”. Anzi, “questa è l’ulteriore dimostrazione che in questo governo o ci sto io, o ci stiamo noi di Alleanza nazionale. O ci sta lui”. Ormai il clima si era surriscaldato. Il Cavaliere continuava a tacere lasciando che i contendenti si sfogassero tra loro. Tocca di nuovo al ministro dell’Economia. “Intanto – ha scandito le parole Tremonti – non c’è una questione personale tra me e Fini. Qui c’è una questione tra due linee economiche: quella della spesa e quella del rigore”. I centristi si sono sentiti chiamare in causa. “veramente – ha osservato Buttiglione – noi abbiamo sempre mediato tra queste due esigenze. Perché ora non dovremmo?”. La riunione è corsa sui questi binari. Alla fine Berlusconi ha tratto il dado: “Tremonti è il titolare di molti successi di questo governo. Ma io preferisco evitare una crisi al buio. Forse, Giulio, è meglio che tu dia le dimissioni”. Il superministro non si è scomposto. Ha piegato la testa e poi ha avanzato un’ultima richiesta: “voglio una lettera in cui il presidente del consiglio mi chiede le dimissioni. La porterò al Quirinale e poi esprimerò le mie ragioni. Dirò al paese cosa vuole fare Alleanza nazionale dei soldi pubblici”. Acquisite le dimissioni si è discusso di cosa fare nei prossimi giorni. Il consiglio dei ministri è slittato a domani. Il cavaliere assumerà oggi l’interim e andrà all’Ecofin di lunedì non prima di aver tentato di un rinvio di quella riunione (che però la presidenza di turno olandese conferma, ndr.). Che il vertice potesse prendere questa piega, comunque, lo si era capito già dal pomeriggio. Nel faccia a faccia tra il premier e la delegazione di An, l’intesa alla fine è stata siglata proprio sulla testa di Via XX Settembre. “Lo sai che tengo più a te che a Tremonti – aveva detto il Cavaliere a Fini – E per salvare il governo sono pronto a rimuovere tutti gli ostacoli. Anche Giulio”. Quindi, quando tutto stava per precipitare e quando il leader di An ha posto la questione semplicemente e nettamente con un “o noi o lui”, allora si è deciso a “rimuovere” quell’ostacolo. Una scelta compiuta davanti allo stato maggiore di Alleanza nazionale al gran completo: Fini, Matteoli, Alemanno, Gasparri e Baldassarri si erano presentati a Via del Plebiscito facendosi precedere solo da una telefonata a Gianni Letta. Tutti insieme sono andati dal Cavaliere: un po’ per sottolineare la gravità del momento, un po’ perché le anime del partito di Fini pretendevano il pieno coinvolgimento e la cognizione diretta di quel che sarebbe accaduto tra le quattro mura di casa Berlusconi. Già la disposizione intorno al tavolo da lavoro mostrava plasticamente la contrapposizione: da una parte si sono seduti i cinque esponenti della destra. Dall’altra il premier era spalleggiato da Gianni Letta, Fabrizio Cicchitto e Paolo Bonaiuti. Visi tiratissimi, pochi sorrisi, convenevoli appena accennati e solo acqua minerale e aranciata sul vassoio. Il clima era talmente incandescente che il vicepremier ha subito posto la questione nei termini più crudi: “Mi dispiace Silvio, ma a questo punto devi sapere che la questione è Tremonti. Se rimane lui, noi ce ne andiamo”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso per gli uomini di Via della Scrofa è stato il documento con “numeri falsi” in diverse tabelle. Insomma, ha sentenziato Fini, “ancora una volta siamo stati presi in giro”. Il Cavaliere ha avuto un sussulto. Si è prima girato verso Letta e poi ha guardato negli occhi Fini. “Io non credo che ci sia bisogno di mettere le cose così”, ha tentato di rassicurare con tono pacato, “non fate colpi di testa. Ragioniamo: l’obiettivo di tutti è salvare il governo. Su questo siamo tutti d’accordo. Dobbiamo rimanere alla guida del paese almeno per altri due anni. Bisogna puntare sugli elementi che ci tengono insieme. E io sono pronto a rimuovere tutti gli ostacoli. Sai bene che io tengo più a te, tengo più al secondo partito della coalizione che a Giulio…”. Una svolta nel braccio di ferro che nell’ultimo anno ha visto sempre vincitore il titolare dell’Economia. Anche perché anche in An sanno che il candidato più accreditato alla successione è Mario Monti. È stato lo stesso premier a tesserne le lodi nell’ultimo vertice di Forza Italia. E starebbe più che bene anche ai centristi dell’Udc. Subito dopo il faccia a faccia con la delegazione guidata da Fini, comunque, Berlusconi si è attaccato al telefono esponendo per filo e per segno la situazione al diretto interessato. Sulle prime Tremonti ha resistito: “Intanto – era il ragionamento svolto dal ministro con il suo staff – quel documento non è mio. È di Cicchitto e Brunetta. Ed in effetti ci sono una serie di castronerie come la cancellazione dalla borsa delle società che ricorrono alle “scatole cinesi”. Dovremmo dire addio a Telecom e ad altri colossi”. Poi al vertice ha ceduto. Le barricate del ministro avevano messo sul chivalà Berlusconi. Vedeva aprirsi di nuovo la voragine di una crisi di governo: “che farebbero i centristi? E con Bossi che succede?”. Insomma il fantasma del ’94 tornava ad affacciarsi nelle mente del Cavaliere al punto che anche quel nome, avanzato da lui stesso, per la successione a Tremonti, ossia Mario Monti, ha iniziato a trasformarsi in un’ombra. Troppo simile, dicono gli uomini più vicini al Cavaliere, a Lamberto Dini. Troppo intimo il rapporto con Romano Prodi. Troppo contenti i centristi dell’Udc di quella candidatura. Nonostante tutto il nome di Monti rimane per ora il primo ma non l’unico nella rosa che ha in mente l’uomo di Palazzo Chigi.


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