Welfare

Governo contro gli energy drink

A rischio la salute dei giovani a causa dell'abuso. Parla l'esperto Riccardo Gatti. E tu cosa ne pensi?

di Antonietta Nembri

«Oggi sono gli energy drink, domani su che cosa lanceremo l’allarme? Se tutto diventa un allarme alla fine non lo è nessuno». Richiama alla mente l’immagine dell’antica favola del “al lupo al lupo” Riccardo C. Gatti, esperto di dipendenze, nel commentare l’ultimo comunicato del Dipartimento politiche antidroga che, alla luce della decisione di Danimarca e Norvegia di proibire gli energy drink, si chiede se non sia il caso di valutare anche in Italia l’attuazione di una linea più incisiva che miri a controllare meglio un fenomeno che sta dilagando soprattutto tra i giovani.

Quello che preoccupa il Dipartimento è l’abuso crescente di queste bevande tra i giovani che arrivano a ingurgitare anche tra gli 8 e 15 drink in una serata. È importante – conclude il Dipartimento – che i giovani conoscano gli effetti negativi di queste bevande e per questo continueremo a sensibilizzare non solo i giovani, ma anche le famiglie nella giusta direzione contro il fenomeno dell’alcol associato a questi drink, per il quale l’attenzione del Dipartimento deve restare altissima.

«Abusare di sostanze è pericoloso, ma anche abusare di farmaci da prescrizione lo è. E che dire del doping dei non agonisti? E perché poi non parlare dell’abuso di alcol come di un allarme? Eppure ci sono tantissimi giovanissimi che si ubriacano e finiscono al pronto soccorso» continua Gatti per il quale occorre sottolineare piuttosto il problema dell’abuso. Insomma, occorre guardare alla situazione generale piuttosto che a un particolare. Nel suo ultimo allarme il Dipartimento osserva che i giovani mischiano agli energy drink altre sostanze, lecite come l’alcol o illecite come cannabis e cocaina dando vita a “mix esplosivi”. «Se mischiano sostante proibite e altre lecite, la questione non è la proibizione di una sostanza, ma la cultura», rimarca Riccardo Gatti.

In una società come la nostra che in molti definiscono “dopata” e che vede il doping come un valore, diventa difficile poi cercare di correre ai ripari con delle norme che vanno in direzione opposta a quanto la pubblicità e le modalità di consumo indicano. «Chiediamoci quale modello culturale e sociale proponiamo» insiste Gatti per il quale il proliferare di allarmi non è molto probabilmente il modo più giusto di affrontare il problema, «se non mettiamo in discussione il nostro modo di rapportarci ai consumi in generale».

In pratica «fin da bambini veniamo educati ad avere dei bisogni indotti dalla pubblicità. Così la gente consuma di tutto e di più, ci viene detto che comprare e consumare è un must. Viviamo in una società di consumi dopati e dopanti e quando la situazione ci sfugge di mano ricorriamo alle norme. È invece il modello educativo che dobbiamo ripensare perché quando un bambino allevato a pubblicità cresce e diventa un consumatore non possiamo lavarci la coscienza scrivendo nella pubblicità degli alcolici “bevi responsabilmente” chiedendo al giovane  una responsabilità che non ha la società» conclude Riccardo Gatti. «È come con l’Iva, tutti la scaricano e l’ultimo è l’unico che la paga».


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