Politica

Globalizzazione romana incubo o sogno?

L’impero romano come modello di universalizzazione di diritti e delle culture. È questa la tesi rilanciata da Cacciari che ha suscitato un vespaio di interessanti polemiche.

di Redazione

“C?era un sogno, che si chiamava Roma”, dice il senatore Gracco alla fine del Gladiatore di Ridley Scott. Questo sogno negli ultimi tempi sembra aver contagiato molti intellettuali, da ultimo l?ex-sindaco di Venezia Massimo Cacciari, visto che il modello Roma, oggi che la storia antica sta scomparendo dalle scuole, gode di una rinnovata fortuna ed è stata riproposta come un positivo modello di globalizzazione del diritto e di convivenza di culture. Certamente il mezzo con cui Roma riuscì a conquistare uno dei più vasti imperi dell?antichità, ancor più che la forza dei suoi eserciti, fu la sua disponibilità a concedere agli stranieri di condividere i vantaggi dell?essere suoi cittadini. Secondo la leggenda, fu Romolo a dare per primo l?esempio ai suoi futuri discendenti, chiamando ad abitare la sua città tutti coloro che non ne avevano una loro, ladri e delinquenti secondo certe storie un po? malevole, e i primi a ricevere la cittadinanza romana furono proprio i parenti delle Sabine rapite dai romani per farne le loro spose. Cittadini romani si nasceva, ma si poteva anche diventare, grazie ad una tendenza ?ecumenica? che Roma conservò sempre, e man mano che estendeva le sue conquiste nel mondo italico e poi nel Mediterraneo, singoli o intere comunità venivano assorbite nella civitas Romana. È l?entusiasmo con cui i conquistati accettavano e ricercavano lo status di cittadino romano la migliore testimonianza dei vantaggi che esso implicava. Quel che scandalizzava di più i Greci, che erano, magari, più democratici di Roma, ma molto gelosi dei diritti che il far parte di una città garantiva, era che anche gli schiavi, una volta liberati, diventavano automaticamente cittadini e, se la fortuna li assisteva, nel giro di poche generazioni i loro discendenti avrebbero anche potuto raggiungere le più alte magistrature. Ma cosa significava, in pratica, essere cittadino di Roma? Innanzitutto ogni cittadino era iscritto in una delle trenta tribù, nella quale aveva il diritto di esprimere il proprio voto a Roma (anche se, naturalmente, questo diventò più difficile quando ci furono cittadini anche in Spagna, Gallia, Grecia e Asia), decidere sulla politica dello Stato, scegliere i magistrati e giudicarli alla fine del loro mandato; in più ogni cittadino aveva il diritto sacrosanto di invocare il giudizio del popolo di fronte ad ogni accusa che gli veniva mossa, e poteva appellarsi ai tribuni per difendersi dai torti che subiva. E quando la repubblica si trasformò nel governo di un principe, l?appello al popolo si trasformò nel diritto per ogni cittadino dell?impero a ricorrere al giudizio del sovrano, come ebbe modo di sperimentare San Paolo, che, negli Atti degli Apostoli, arrestato con l?accusa di sommossa, dimostra benissimo come fosse possibile far rispettare i propri diritti dai soldati e dai magistrati. Non bisogna cedere alla tentazione di idealizzare questo modello; innanzitutto, il concetto di partecipazione dei cittadini al governo dello stato a Roma era molto diverso da quello che abbiamo noi e non fu mai esattamente ugualitario. I cittadini erano divisi, in base alla loro ricchezza, in classi e in centurie e il sistema delle votazioni era architettato in modo che le classi più alte, che erano meno numerose, avessero comunque la possibilità di ottenere la maggioranza nelle assemblee. Gli scrittori antichi raccontano anche che da un certo momento in poi la corruzione e la violenza di piazza presero a diffondersi sempre di più: basti pensare che si dovette architettare un sistema di ponti attraverso cui il cittadino raggiungeva l?urna per votare, per garantire la segretezza e la sicurezza del voto e impedire i ?suggerimenti? dell?ultimo minuto. Nella tarda Repubblica era in vigore un vero e proprio sistema clientelare, di cui nessuno, per altro, si scandalizzava; i personaggi più in vista manovravano interi pacchetti di voti, gruppi di ?clienti?, a cui fornivano in cambio protezione giuridica e, talvolta, sostegno economico. Man mano che il territorio di Roma si allargava, diminuiva, però, la possibilità concreta per i cittadini di partecipare alle votazioni; l?imperatore Augusto immaginò allora un sistema di votazione ?per posta?, per coinvolgere almeno i personaggi più in vista delle città dell?Italia nelle assemblee romane, per evitare che fosse la plebaglia di Roma a decidere le sorti di tutto l?impero. Quando anche questo sistema si dimostrò impraticabile, gli imperatori finirono per abolire le assemblee e il potere legislativo si concentrò nelle mani dell?imperatore e del senato. Restavano, però, gli enormi vantaggi giuridici dell?essere cittadino, la garanzia di ricevere un trattamento di favore nei tribunali e di non poter essere sottoposto a tortura o a pene infamanti, e il diritto di entrare nell?esercito, un mestiere divenuto sempre più lucroso con le conquiste al di là del Mediterraneo. Dopo le vittorie in Oriente del II secolo, poi, le casse dello Stato si erano riempite così tanto che i cittadini romani furono sollevati per più di due secoli dal pagamento del tributo annuale. Non è cosa da poco, se pensiamo che molte delle rivolte che scoppiarono nelle province asiatiche nel primo secolo a.C. furono il frutto del malcontento provocato dai soprusi degli esattori pubblicani. La repubblica romana non possedeva, infatti, una burocrazia così sviluppata da potersi occupare della riscossione di tasse e tributi e preferiva appaltarla a imprese che le garantivano anticipatamente una certa entrata e poi gestivano spregiudicatamente la faccenda sul posto. Lo Stato burocratizzato così come noi lo conosciamo è cosa ignota all?antichità, e la formazione di una classe di funzionari pubblici stipendiati avviene a poco a poco durante l?impero, determinando così un bisogno sempre più grande di entrate. Fu questa, infatti, secondo molti contemporanei la vera causa della decisione della constitutio antoniniana di Caracalla: promuovendo nel 212 al rango di cittadini tutti gli abitanti dell?impero, l?imperatore creò di fatto una massa di nuovi contribuenti per sostenere un esercito di soldati e funzionari sempre più costoso.


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